venerdì 3 giugno 2011

ZEN 2 vs San Filippo Neri. Due idee di quartiere a confronto

Grande interesse e dibattito continua a suscitare l'idea di poter riqualificare e rigenerare uno dei quartieri simbolo del degrado e del sottosviluppo di una città in crisi di identità come Palermo.

A fronte di un'amministrazione comunale incapace di dare le necessarie risposte ad una città abbandonata a se stessa, con irrisolti problemi finanziari che sembrano ingessare tutte le sue principali attività, dalla raccolta dei rifiuti alla pulizia e al decoro urbano, emergono al contrario dalla società civile nuovi segnali di vitalità.

Vi proponiamo, tratti dai vari blog cittadini, il proseguimento del dibattito a distanza fra l'Arch. Iano Monaco e il Prof. Ettore Maria Mazzola avviato proprio dal nostro BLOG. Vada come vada, già il fatto che sembrano scaturire dal sottosuolo palermitano, come inaspettate fonti d'acqua, due idee per rigenerare lo ZEN 2 o come piace dire al parroco del quartiere don Pertini, quello che diventerà il San Filippo Neri, sembra a noi di Camelos un fatto positivo.


E' giusto secondo noi poter mettere in discussione i paradigmi dominanti dell'architettura moderna senza alcun pregiudizio ideologico. E' altrettanto giusto sottoporre al rigore delle analisi economiche e finanziarie il progetto di rinnovamento che si intende portare avanti, senza cedere a vani entusiasmi o pericolose scorciatoie "politiche". E' necessario comprendere che nessun progetto per lo ZEN 2 o per il San Filippo Neri potrà mai realizzarsi senza il desiderio della gente del quartiere di mettersi in gioco, di riuscire a concorrere con la propria opera e con il proprio lavoro al proprio riscatto sociale che potrà avere effetti benefici per l'intera città.



Intervista a Iano Monaco di Barbara Giangravè "Zen, Zona Emarginazione Nord".

tratta dal blog di Sicilia on Line.


In risposta a un convegno organizzato a Palermo lo scorso 5 maggio e durante il quale l'architetto Ettore Maria Mazzola avrebbe esposto la sua idea di abbattere e ricostruire lo Zen, proprio come già proposto - sempre da lui - per il quartiere Corviale di Roma, Iano Monaco e Massimo Inzerillo diffondevano una nota, la stessa pubblicata sul nostro blog.

Lungi da noi l'idea di prendere una parte ben precisa nell'ambito di questo dibattito, anche perchè chi scrive non ha alle spalle studi nè di architettura, nè di ingegneria, abbiamo pubblicato ogni singolo commento arrivato (anche quello che ci accusa di "lascia(re) trasparire una evidente condizione di pregiudizialità nei confronti...di tutto").

Anzi, prendendo spunto da quest'ultimo e proprio in ragione del fatto che - sì, è vero - in un certo senso nutriamo dei pregiudizi nei confronti di tutto, ma proprio di tutto, abbiamo letto e riletto la risposta dell'architetto Mazzola e siamo andati dall'architetto Monaco a porgli una domanda molto semplice.

Se, infatti, l'architetto Mazzola avanza una proposta nei confronti della famigerata Zona Espansione Nord della nostra città, volevamo sapere cosa - proprio l'architetto Monaco - pensa al riguardo.
Non conosco personalmente l'architetto Mazzola e non sono intervenuto al convegno del 5 maggio scorso, durante il quale ha esposto la sua idea. È stato Massimo Inzerillo, mio collega e amico, ad andare lì e a riferirmi tutto. Ma sono state anche le cronache dei quotidiani locali e gli articoli pubblicati sullla rivista "Il Covile", edita dai promotori del convegno stesso, a completare il quadro informativo. Premesso che, per quanto mi riguarda, è assolutamente positivo che ci sia della gente che si occupi nuovamente dello Zen, il mio post nasce dal disaccordo che nutro nei confronti dell'idea stessa. Abattere e ricostruire lo Zen di Palermo, seguendo i canoni di un progetto pensato per il Corviale di Roma, non è una soluzione.

Lei che soluzione propone?
Secondo me, è possibile solo migliorare ciò che già esiste, non ricostruirlo ex novo. Come ho già scritto, allo Zen, dopo oltre 40 anni, vanno ancora completati i servizi, a partire dalla rete fognaria, ma bisogna lavorare anche su altri aspetti, non solo su quelli architettonici.

Quali?
Tanto per cominciare, va introdotta una legalità che non è mai esistita. Non è possibile consentire agli abusivi di occupare alloggi già assegnati ai legittimi inquilini. Non è possibile lasciare che ai piani terra dei palazzi si effettuino le attività più disparate, tranne quelle che erano state effettivamente destinate a quegli spazi. E non è possibile, per tornare al discorso di prima, tollerare che i suoi abitanti debbano pagare il pizzo per avere acqua corrente in casa.

Per la parte che le compete, come architetto, sarebbe disposto a realizzare un progetto da mettere a disposizione, a titolo gratuito, di un progetto di recupero dello Zen?
Sì, personalmente sarei disposto a farlo. Ma le dico di più. Ritengo che anche altri debbano farlo. Lo stesso Mazzola, per esempio, ma anche altri colleghi. Vittorio Gregotti (l'architetto che progettò lo Zen, n.d.r.) ha commesso degli errori, ma non è stato il solo.

Che intende?
Intendo che, in questi 40 anni, a partire dagli amministratori di questa città, passando per i tecnici come me e terminando con la cosiddetta società civile, nessuno si è mai occupato dello Zen. È nato come ghetto e come ghetto si è sviluppato in questi anni. Ha delle barriere reali e virtuali che lo dividono dal resto della città che, semplicemente, fa finta d'ignorare la sua esistenza. Del resto, i Palermitani non hanno alcun motivo per andare allo Zen...

Se il Comune concedesse a Zamparini di abattere il Velodromo e costruire, al suo posto, il nuovo stadio, forse ce l'avrebbero...
Anche in questo caso, io mi limiterei a recuperare ciò che già esiste. Non abbatterei nè costruirei alcunchè di nuovo. Zamparini potrebbe recuperare il Renzo Barbera e il Comune potrebbe recuperare il Velodromo dallo stato di abbandono in cui l'ha lasciato.

La parola d'ordine è recuperare. Tutto ciò che esiste già.
Esattamente.

Nel 1989, vent'anni dopo la costruzione dello Zen, Edoardo Bennato pubblicava un album, Abbi Dubbi, nel quale era contenuta una canzone, Zen, che fotografava uno spaccato d'Italia. Oggi, a distanza di 22 anni, quella fotografia è ancora attuale. Se questo modesto contributo potrà servire ad alimentare un dibattito, nella speranza - ovviamente - di raccogliere dei frutti al termine della discussione, ne saremo lieti.


La risposta del Prof. Ettore Maria Mazzola, tratta dal gruppo Noi per Lo Zen dal Social Network.



Nel testo si legge che, alla domanda della giornalista “Se, infatti, l'architetto Mazzola avanza una proposta nei confronti della famigerata Zona Espansione Nord della nostra città, volevamo sapere cosa - proprio l'architetto Monaco - pensa al riguardo” il collega ha risposto: “Non conosco personalmente l'architetto Mazzola e non sono intervenuto al convegno del 5 maggio scorso, durante il quale ha esposto la sua idea. È stato Massimo Inzerillo, il mio socio, ad andare lì e a riferirmi tutto. Premesso che, per quanto mi riguarda, è assolutamente positivo che ci sia della gente che si occupi nuovamente dello Zen, il mio post nasce dal disaccordo che nutro nei confronti dell'idea stessa. Abattere e ricostruire lo Zen di Palermo, seguendo i canoni di un progetto pensato per il Corviale di Roma, non è una soluzione”.
Se ne deduce che l’ing. Inzerillo ha riportato molto male il contenuto della conferenza. Infatti, durante quel convegno, non si è parlato del progetto per lo ZEN ma solo di quello per il Corviale. Il convegno è stato voluto da un gruppo di 200 palermitani che – intrigati dallo studio di fattibilità sviluppato per sostituire il mostro romano con un quartiere a dimensione umana – hanno chiesto in quella sede di sviluppare un progetto analogo (in termini di strategia e non di “stile” come qualcuno ha impropriamente sostenuto) che dia la possibilità di capire se, anche a Palermo, si possa iniziare a pensare seriamente alla “umanizzazione” delle periferie concepite come ghetti.
A tal proposito non posso che essere in disaccordo con Monaco, quando sostiene che si debba “solo migliorare ciò che già esiste, non ricostruirlo ex novo”. Se infatti si avesse il coraggio di rimettere in discussione le cose che ci sono state impartite nelle università, se iniziassimo a rileggere onestamente le architetture e gli architetti modernisti con i quali siamo cresciuti, magari partendo dal punto di vista della “sostenibilità” piuttosto che da quello “stilistico”, allora ci accorgeremmo che la produzione edilizia degli ultimi 80 anni risulta assolutamente insostenibile
: i materiali, (il loro comportamento termo-igrometrico, la loro velocità di degrado, la loro tossicità tenuta nascosta per anni – dal cemento-amianto alla formica, alle resine epossidiche, a tutti i materiali plastici e tutti gli isolanti realizzati chimicamente, che peraltro tendono a perdere le loro caratteristiche nel medio lungo termine); i costi – economici e ambientali – di produzione e trasporto di quella che è l’edilizia industriale; la sparizione graduale dell’artigianato del settore – causato dall’uso smodato e monotono delle tecniche e dei materiali di produzione industriale – che sta mettendo a serio rischio il mantenimento in vita del patrimonio storico si cui l’Italia dovrebbe vivere, la dipendenza dall’autotrazione generata dall’urbanistica dello zoning e dello sprawl, ecc. Questo è solo un breve elenco degli argomenti che non possono essere più ignorati nell’era della fine del petrolio a buon mercato, e che quindi fa sì che risulti assurdo, nell’era della sostenibilità, pensare di mantenere in vita quartieri “modello” (come lo ha definito Gregotti) come lo ZEN che, alla luce dei fatti, sembrano essere un modello dell’idiozia e della presunzione umana!
All’arch. Monaco, e a tutti coloro i quali pretendono di mantenere in vita certe assurdità (si pensi al sovrintendente di Napoli, Gizzi che, piuttosto che pensare a come ridar vita ai monumenti pompeiani che stanno morendo, ha recentemente proposto di mettere un vincolo architettonico a protezione delle Vele di Scampia!) dico che farebbero bene a riflettere attentamente su ciò che una scelta di conservazione del genere comporta. A questo punto dunque, visto che Monaco e Inzerillo mi hanno accusato (in malafede) di non conoscere i costi di costruzione dell’operazione per lo ZEN, attribuendomi una stima dei costi peri a meno di ¼ di quella reale cui avevo fatto riferimento per il progetto del Corviale, e visto che davanti ai chiarimenti che gli ho fornito, piuttosto che presentare le loro scuse, hanno rincarato la dose affermando che il mio chiarimento rafforzava la loro tesi, assodato che essi mai si scuseranno dell’accusa infamante che hanno fatto, giro a loro qualche domanda: Vi rendete conto di quanto costi restaurare un complesso come lo ZEN? E, soprattutto, quanto pensate che dopo il restauro possa ancora sopravvivere? Lo sapete che è ormai scientificamente stato dimostrato che il cemento armato ha vita breve? Lo sapete che il restauro di questi edifici sanguisuga grava sulle tasche dell’intera collettività?
A tal proposito ricordo a tutti che, diversamente dalle follie moderniste tanto care all’autore dello ZEN, l’ingegner Quadrio Pirani, quando presentò il progetto per un gruppo di edifici che doveva realizzare per l’ICP al quartiere Testaccio di Roma scrisse: «non solo la casa bella all’esterno e pulita all’interno contribuisce all’elevazione delle classi che la abitano, ma che un giusto impiego di materiali durevoli, quali i laterizi e le maioliche, porta ad una diminuzione nel tempo delle spese di manutenzione degli edifici, soprattutto quando si tratti di edifici a più piani riuniti in un isolato o in un quartiere urbano» … quegli edifici sono ancora lì, a 99 anni di distanza, e non hanno mai richiesto interventi di manutenzione!.
Perché dunque ostinarsi a difendere il mantenimento in vita dello ZEN, se anche Gregotti disse «per parte mia sono tanto convinto di quel progetto (nonostante o forse a causa della sua forte intenzionalità ideologica) che proporrei di radere al suolo il quartiere e rifarlo così come era stato progettato».
Tornando all’intervista, l’arch. Monaco, di fronte alla domanda su ciò che farebbe per migliorare lo ZEN dichiara: «Tanto per cominciare, va introdotta una legalità che non è mai esistita».
Io dico che, invece di far demagogia e voler ricercare i responsabili del malfunzionamento dell’architettura funzionalista voluta da Gregotti & co. ovunque tranne che nei progettisti e nell’ideologia che l’ha generata, sarebbe finalmente ora di iniziare a riconoscere che quel genere di architettura, e soprattutto di urbanistica, è stata sin dall’epoca dell’abbattimento del Pruitt-Igoe di Saint Louis riconosciuta come deleteria per i suoi residenti, e perfino criminogena. È indubbio che si debba portare della legalità, dove lo stato in primis è stato latitante, ma non è questo che porta un miglioramento comportamentale. Se gli autori del post accusatorio nei confronti del movimento “Noi per lo ZEN” avessero realmente posto attenzione alle immagini e alle parole che sono state mostrate e dette durante la conferenza del 5 maggio, nonché se avessero letto il mio articolo pubblicato su “il Covile” che hanno menzionato, avrebbero compreso che, ben 100 anni fa, un problema similare venne affrontato e risolto al quartiere Testaccio di Roma, così avrebbero compreso quanto, diversamente dalla progettazione ideologica di Gregotti, il problema venne risolto grazie al processo partecipativo che precedette l’opera degli architetti Magni e Pirani: anche a Testaccio mancava tutto … mancavano perfino i servizi igienici e la gente viveva in condizioni disumane, ma il problema del comportamento antisociale risiedeva nel risentimento delle persone che si sentivano marginalizzate in un quartiere spersonalizzante. Ebbene, il successo dell’intervento “bottom-up” operato dal Comitato per il Miglioramento Economico e Morale di Testaccio fu talmente grande che l’ICP coniò lo slogan “La Casa Sana ed Educatrice”.
Tornando al riferimento di Monaco alla malavita – in qualità di “non palermitano” – voglio sottolineare la necessità di evitare di tirar fuori argomenti del genere i quali, seppur da non sottovalutare, non possono essere posti alla base dei problemi urbanistici dello ZEN, poiché non si fa altro che fornire un alibi al progettista il quale, nella sua ultima intervista a “La Stampa” (21.05.2011) s’è permesso di dire: «mi sento colpevole di aver sottovalutato la mafia. Là ho capito cos’era davvero il controllo della criminalità …» La mafia esiste, ma non solo a Palermo e in Sicilia, esiste a Milano, a Roma, a New York e ovunque nel mondo, ma quella siciliana è la più nota perché è stata ampiamente documentata e romanzata, ma non è la sola, e non è più forte di quella delle lobbies che controllano l’economia del pianeta e che si servono delle varie mafie come manovalanza per perseguire i propri interessi, che sono ben più grandi dello ZEN. Ogni anno, quando porto in Sicilia i miei studenti americani, essi rimangono talmente tanto affascinati dall’ospitalità e dalla gentilezza dei siciliani che mi chiedono sempre per quale motivo all’estero la Sicilia sia nota solo per la mafia e non per le sue bellezze e per l’ospitalità dei suoi abitanti!
Da parte mia ritengo che l’intenzionalità di far vivere delle persone in un quartiere che sembra un carcere, ben sapendo quelle che possono essere le conseguenze, sia un atto criminale da condannare. La legge non ammette l’ignoranza e, dato che gli studi di Sociologia Urbana che dimostravano i rischi di quell’ideologia erano già noti all’epoca della progettazione dello ZEN, si deve ritenere che Gregotti & co. hanno commesso un crimine contro quei cittadini, un crimine che, sebbene andrebbe condannato come premeditato (perché ideologico), sarebbe almeno il caso che venisse riconosciuto come colposo, ogni qualvolta si registri un atto violento generato da quell’architettura criminogena.
Il limite della progettazione di Gregotti risiede nell’ideologia che caratterizzava quegli anni, e che vedeva Bruno Zevi – tornato dall’esilio forzato americano a causa delle persecuzioni razziali – come il demonizzatore di tutto ciò che la sua miopia gli faceva riconoscere essere “fascista”. Se invece di fare gli interessi dell’industria edilizia, si fosse limitato a leggere in maniera imparziale la storia di quegli anni, forse avrebbe scoperto che l’unica architettura che il fascismo impose fu proprio quella “Razionalista” a lui tanto cara. Ne ho parlato ampiamente in molti articoli, alcuni dei quali disponibili nel web su “Il Covile” e sul blog “De-Architectura”. Gli sarebbe bastato leggere il testo di legge intitolato “Istruzione per il Restauro dei Monumenti” del 1938 per scoprire che il punto 8 diceva: «per ovvie ragioni di dignità storica e per la necessaria chiarezza della coscienza artistica attuale, è assolutamente proibita, anche in zone non aventi interesse monumentale o paesistico, la costruzione di edifici in «stili» antichi, rappresentando essi una doppia falsificazione, nei riguardi dell’antica e della recente storia dell’arte». Tuttavia, nell’interesse dell’industria edilizia e automobilistica, nelle università e sulla stampa specializzata, si fece credere alla gente “ignorante” che la nuova architettura era sinonimo di democrazia. Così si teorizzò che «il fine era di materializzare l’idea che la città storica, espressione delle classi sociali che avevano dominato e oppresso la società umana, doveva essere abbandonata ai suoi fondatori mentre alle classi sociali popolari in ascensione sarebbero stati destinati i nuovi quartieri costruiti in periferia che, aggregandosi, avrebbero finito col generare la nuova Gerusalemme: la città della società senza classi, libera, giusta e fraterna». Ci è stato perfino chi si spinse a sostenere che fosse una scelta autonoma dei cittadini quella di andare a vivere in periferia, poiché essi vedevano il centro storico come un luogo infame: in realtà, questa è stata la grande menzogna creata dai razionalisti del CIAM quanto nel ’33 sferrarono l’attacco finale alla città storica, attacco che doveva spianare la strada alla città zonizzata regno dell’automobile! A conferma dell’ideologia (e degli interessi speculativi) che c’è stata dietro l’urbanistica modernista, in questo caso palermitana, c’è l’affermazione di B. Secchi, il quale onestamente ha detto: «nell’immediato dopoguerra sino agli anni sessanta si guarda tanto alle zone di espansione quanto al piano urbanistico come ad una sequenza narrativa che si contrappone per il suo significato politico e sociale alla storia della città borghese e ottocentesca e del periodo fascista»
Concludo sottolineando un punto che emerge dall’intervista a Monaco e che, come qualche lettore ha fatto notare, potrebbe essere all’origine del livore e dell’atteggiamento prevenuto nei confronti di un progetto che non esiste ancora. Nell’intervista si legge: “Per la parte che le compete, come architetto, sarebbe disposto a realizzare un progetto da mettere a disposizione, a titolo gratuito, di un progetto di recupero dello Zen?” Risposta: «Sì, personalmente sarei disposto a farlo». Ebbene sono ben felice della cosa, poiché io non ho la presunzione di fare “IL” progetto, ma “UN” progetto. Un progetto che serva a ripensare lo ZEN e tutte le periferie. Se ci saranno altre proposte, da parte mia esse saranno le benvenute! Mi piacerebbe che ce ne fossero tante, e soprattutto che fossero finalmente i cittadini Palermitani dello ZEN ad esprimere il loro parere sulle proposte che perverranno.

3 commenti:

  1. ma sbaglio o l'architetto Mazzola ha chiesto 20.000 euro per realizzare il fantomatico progetto?

    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/05/06/demoliamo-ricostruiamo-lo-zen-in-200-si.html

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  2. Sbagli, panormocritico: gli sono stati offerti, e lui ha accettato. E ha fatto bene da un lato ( http://www.amatelarchitettura.com/2011/02/via-giulia-e-i-7-samurai/ ); dall'altro, si è accontentato, visto che il valore di un simile lavoro è di almeno 400mila euro. Ma si capisce che la posta in gioco è un'altra, e non ha a che fare con il denaro, ma con la storia. Dietro quel progetto c'è infatti un movimento critico robusto, che ha cominciato a intaccare un sistema pervertito, un circolo vizioso tra ideologia accademica e politica inane o corrotta. E Palermo ha il merito di aver captato quest'onda di energia, che sta generando nuovi equilibri in diversi Paesi, mettendo in circolo partecipazione civica, e nuovi modi di intendere l'impresa e la politica.

    Da notare che mentre a Palermo nasce un'iniziativa simile, dal basso, che ha per oggetto il miglioramento e l'integrazione di una parte importante e sofferente di civitas, a Milano TUTTI si preoccupano di tritare miliardi pubblici nello scatafascio inutile dell'Expo.

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  3. mi chiedo quanti euro abbia chiesto l'arch. Monaco per realizzare il nuovo palazzo di Giustizia di Palermo che, a differenza di quei 200 palermitani che si sono autotassati per cercare un'alternativa non modernista, abbiamo pagato tutti, palermitani compresi, con le nostre tasse e senza che nessuno ce l'abbia mai chiesto!!!

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