CALAMPISO 2010



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ASSOCIAZIONE CAMELOS

IL BUON GOVERNO FRA ETICA FEDERALISMO E SVILUPPO
Presentazione di Pietro Genovese (Presidente C.A.ME.L.O.S.)





Questa estate, durante un’afosa giornata di luglio, nel corso di una riunione fra i nostri associati, abbiamo pensato di avviare nel mese di settembre un’attività seminariale dedicata all’etica, al federalismo ed allo sviluppo.

Indubbiamente i temi quali il rapporto fra l’etica e la politica, l’introduzione del federalismo , lo sviluppo dell’economia in Italia e nel Mezzogiorno, sono i temi di maggiore attualità sebbene durante l’estate ci sembra che l’agenda politica abbia avuto altre priorità.


Vorrei iniziare questa mia relazione con una citazione di Gaudì, celebre architetto catalano del secolo scorso, tratta dall’opera Idee per l’architettura: “La creazione continua, il creatore si avvale delle sue creature, chi cerca le leggi della natura per conformare ad essa opere nuove, collabora con il Creatore. I copisti invece no. Per questo motivo l’originalità consiste nel tornare alle origini”.

E quindi visto che vogliamo essere “originali” , ritengo necessario partire dalle origini e cioè dall’acronimo della nostra associazione C.a.me.l.o.s. , “Centro Associativo Mediterraneo Liberale Occidentale e Solidale”. E dal significato della parola Camelos dal latino camèlus , cammello, un animale forte e resistente che è il simbolo della nostra Associazione. Come saprete, il cammello vive nelle oasi ,è un animale che sa viaggiare in carovana, viaggia in ambienti difficili come il deserto e arriva a destinazione ;

Per Camelos l’oasi principale è la famiglia, l’oasi è il proprio ambiente di lavoro, l’oasi è un luogo dove scorre la vita. Tutti i cammelli che vivono in queste oasi sono desiderosi di affrontare un viaggio, un viaggio che li porterà verso una nuova città,una nuova città dell’uomo, una città ideale a cui tutti noi aneliamo, che è fatta di arte, di architettura, di ordine, di servizi per la comunità, di benessere; è la città ideale che sogniamo per la nostra terra, la nostra Sicilia.


Tornando alle origini, Camelos è il nostro centro associativo nato all’interno di alcune realtà che hanno avuto un ruolo fondamentale, e senza le quali Camelos non sarebbe mai nata. E vorrei ricordare oggi, l’“Associazione Nazionale famiglie numerose”, per la quale Camelos ha realizzato la sua prima attività e cioè la redazione di una proposta a sostegno delle famiglie numerose realizzata nell’ambito dell’ultima finanziaria. Un altro ambiente che ha favorito la costituzione di Camelos è “Società domani”, un’associazione fortemente impegnata sui temi della dottrina sociale della Chiesa.

Alcuni centri scolastici d’ispirazione cristiana l’Altavilla e l’Imera che hanno contribuito a rafforzarci nel convincimento sulla necessità di non lasciare allo Stato il monopolio della cultura e della scuola.

Un’opera che ha creduto da subito alle nostre iniziative è stata l’Opera Pia S.Lucia, un istituto di gloriose tradizioni sorto grazie all’iniziativa di mecenati siciliani e che è oggi un’opera pia posta sotto l’Assessorato Regionale alla famiglia e alle politiche sociali che è anche sponsor del nostro convegno e che consente oggi l’esposizione di questi pannelli sugli affreschi del Lorenzetti realizzati dall’IDIS.

Centro associativo, abbiamo detto, Mediterraneo.

Per spiegare, appunto, questo concetto recentemente abbiamo di recente approfondito una lettura, “Il Mezzogiorno e la politica Italiana il programma del Risorgimento meridionale” , un documento redatto da Luigi Sturzo che riteniamo estremamente attuale, ai nostri giorni.

Perché guardare il documento di quasi un secolo fa, che validità possono avere i suggerimenti di un sacerdote che ha vissuto nell’ultimo secolo? Don L. Sturzo,lo sappiamo tutti, non fu soltanto un Santo Sacerdote fu un grande evangelizzatore della politica e della società e che avvertiva il bisogno di portare Dio nella politica. Tale necessità, riteniamo sia valida anche ai nostri giorni. I nostri giorni caratterizzati da una politica che troppo spesso persegue il proprio utile, esasperata da tanti individualismi e che ci sembra talvolta dimenticare il “bene comune”.

Perché è attuale il discorso di Sturzo? Fondamentalmente per due ordini di ragioni: perché ci ricorda la centralità dell’isola della Sicilia all’interno del Mediterraneo quale crocevia, luogo di interferenze, fra diverse culture fra l’Europa Occidentale e l’Europa Orientale ma anche fra l’Asia e l’Africa; ponte ideale fra culture e poi perché in questo suo scritto invita i siciliani a rimboccarsi le maniche a superare un presunto complesso d’inferiorità: un complesso d’inferiorità che come ha ben denunciato Pino Aprile nel suo ultimo libro “Terroni” ha un’origine storica che deriva dalle modalità di attuazione dell’Unità d’Italia; quel sentimento che porta i siciliani ad essere disfattisti, a pensare che le cose non potranno mai cambiare nella propria terra e che devono lasciarsi guidare dai conquistatori di turno.

Liberale, tanti sono i modi di intendere il liberalismo, non esiste un’unica definizione di liberalismo; secondo una definizione di Sartori un liberale americano non sarebbe mai chiamato liberale in Europa, un liberale italiano sarebbe considerato dai liberali americani un “conservatore”.

Camelos s’inspira ad un pensiero liberale quello rappresentato nell’ultimo libro di Pera; un liberalismo che fonda le sue radici nell’etica cristiana, quell’etica cristiana che oggi troviamo ben rappresentata negli affreschi del Lorenzetti e che rifugge da qualsiasi tentazioni edoniste e materialiste.

Occidentale perché in un mondo caratterizzato dalla globalizzazione ma anche dallo scontro di civiltà, Camelos vuole essere un luogo di dialogo, di apertura fra le genti all’insegna della multiculturalità di cui è espressione il Festival di San Vito il “Cous cous festival” che vede fra l’altro la partecipazione di gruppi, di diverse etnie, come ci potrà esporre il nostro Sindaco che è qui presente.

Ma il dialogo dei siciliani con gli immigrati è come un ponte fra due sponde, che come ogni ponte, deve avere solide basi su entrambe le sponde.

Il punto di partenza non può che essere la condivisione dei diritti fondamentali dell’uomo e dei valori non negoziabili che sostanziano la nostra umanità,la libertà di scelta mentre il punto di arrivo non può che essere il perseguimento del bene comune e dell’interesse generale

Solidale. Solidale, tante possono essere le definizioni di solidarietà. Noi riteniamo che la solidarietà per essere realmente tale deve avere un elemento, che è la gratuità. Non posso essere solidale se non ho dato ciò che spetta ad un altro secondo giustizia. La solidarietà inizia dopo, ed è gratuita, non chiede niente in cambio: non vi può essere solidarietà in tema di precariato, quello si chiama assistenzialismo.
Passo quindi la parola al Sindaco di San Vito a cui chiedo di presentare la rassegna del“Cous cous festival”, giunta alla sua 13^ edizione.


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SALUTO DEL SINDACO di San Vito - Matteo Rizzo

Buonasera a tutti, intanto un grazie al presidente e appuntamento a questa sera, perché già questa sera parte il primo evento “Tempu ri Capuna”.

Grazie al Presidente ed all’Associazione Camelos per avere scelto San Vito lo Capo quale location per questo importante appuntamento, per questi momenti di riflessione. “Buon governo tra etica, federalismo e sviluppo”, credo ci sia molto da dire, molto da dibattere. Ho visto il programma ed interventi qualificati sarà importante ascoltarli perché credo che siano importanti concetti per lo sviluppo, in quanto sicuramente la gente si attende risposte da chi in prima linea amministra la cosa pubblica, cosa che ovviamente in questi ultimi periodi si stentano a vedere.

Io, per quanto riguarda S. Vito lo Capo, ne discutevo poc’anzi col Presidente della Provincia Turano, abbiamo registrato in un periodo di particolare difficoltà economica sia a livello nazionale che internazionale, un indice positivo dato dal numero di posti letto e presenze di turisti che rappresenta circa il 50% delle presenze della Provincia Regionale di Trapani.

Un dato che è anche il frutto delle politiche dei trasporti adottate dall’aeroporto Birgi di Trapani , che sta dando notevole slancio alla Provincia di Trapani. I momenti di riflessione sono importanti, purchè poi seguano delle proposte per mettere in pratica quello che la gente si attende. Perché discutere è importante poi però bisogna passare al pratico, essere operativi e dare risultati concreti.

Vedo che il “Cous cous festival” è preso ad esempio ed è stato inserito nel programma nella giornata di domenica 19 settembre. Ho vissuto questo evento direttamente sin dall’origine, siamo alla 13^ edizione e credo che per un Comune come San Vito lo Capo di 4200 abitanti che deve garantire servizi per punte di 70-80 mila persone nel periodo di Agosto con risorse di un Comune di 4200 abitanti, credo che occorra molta fantasia nel riuscire poi a realizzarli. Il “Cous Cous Fest” dapprima è un miracolo organizzativo, perché se oggi “Cous Cous Fest” costa e ha un bilancio di €1.400,000 e il Comune riesce ad intervenire per un importo inferiore a €100,000, un grazie va sicuramente alle istituzioni alla Provincia Regionale di Trapani, alla Regione Sicilia, agli sponsor che ci credono. Ma è un progetto forte perché si parla di integrazione, si parla di enogastronomia, si parla di tematica ambientale, di cultura. Sono dunque questi concetti che credo possano e debbano contraddistinguere la nostra regione e quel che possa essere modello di sviluppo perché stanno dando risultati positivi. Oggi San Vito registra negli ultimi 5-6 anni un aumento del 400% delle presenze, andiamo da 120.000 presenze a circa 500.000 presenze. Questi sono i dati ufficiali poi sicuramente saranno anche di più. Sono dei dati positivi, significa che c’è un incremento del nostro territorio e significa che ci sono investimenti; il tutto legato anche sempre al rispetto delle tematiche ambientali perché acome noto, sono state recentemente assegnate al nostro Comune le cinque vele di Legambiente e questo è un indice determinante per lo sviluppo di questo territorio.

Quindi un grazie ancora al Presidente dell’Associazione Camelos per essere tutti qua a San Vito, e vi do l’appuntamento da stasera per questo evento che inizia , “Tempo di Capone”, poi dalla settimana prossima vi aspetto per il “Cous Cous Fest”.


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SALUTO DEL PRESIDENTE DELLA PROVINCIA DI TRAPANI – Girolamo Turano
Parliamo di cose intriganti perché il titolo del tema è bello e mi fa piacere aver sentito il Presidente Genovese che accennava dal principio alcuni parametri che sono quanto mai attuali, mi fa piacere che ricordava don L. Sturzo che mandò parecchie missive ai giovani anche della provincia di Trapani, ne cito uno che poi ha avuto ruoli importanti l’onorevole Mattarella, e delle missive, ricordiamoci il momento storico che vivevamo, il Dopoguerra, esse miravano proprio a costruire uno statuto che fosse federalista non secessionista, una preoccupazione di allora che è quanto mai attuale ed è ahimè un argomento che non fa dormire sonni tranquilli in questi giorni. Nonostante ce la si metta tutta per cercare di uscire dal guado e di costruire delle prospettive vere che possono dare un’inversione di tendenza, oggi non è che siamo particolarmente bravi, crediamo soltanto in quello che facciamo perché di contro poi politicamente ne combiniamo di tutti i colori e fino a quando non si fa una sintesi vera della gestione del bene comune e della politica i progetti lasciano il tempo che trovano. Sono rimasto, come dire, impressionato favorevolmente, non so se potrò ascoltare gli interventi dei relatori a proposito del bene comune delle raffigurazioni che Lorenzetti ha fatto o dell’epilogo finale che è indicato come l’allegoria del malgoverno, diciamo così, noi oggi dobbiamo sforzarci di segnare questo territorio che ha mille difficoltà, mille problemi che però tutto sommato, come diceva il Sindaco per certi versi rappresenta un’isola felice: il problema è capire quanto si è pronti a scommettere per la crescita di questo territorio quanti sacrifici si chiedono alle proprie famiglie per poi avere un risultato concreto. Io su questo non ho dubbi, sono certo che bisogna continuare perché non evidenziare come il buon governo viene ricercato quando non si hanno le idee chiare sulle cose che si devono fare e quando si costruiscono programmi e si realizzano quei programmi. Purtroppo ahimè questo momento è un momento di grande difficoltà perché i programmi che vengono costruiti vengono disattesi o come dire la legittimazione popolare poi viene come dire sovvertita da altre iniziative e su questo dovremmo riflettere tutti, dovremmo vedere quali sono queste grandi riforme dovremmo capire come portare avanti i progetti. Noi in provincia di Trapani ci stiamo provando. Volevo ringraziare il Sindaco di S. Vito non perché continua con il Cous cous festival perché noi sosteniamo il Cous cous festival riguardo all’operazione del Cuscus festival è una grande operazione mediatica fatta da professionisti che hanno saputo trasferire un’immagine diversa di questo territorio.

Lo dico perché tre anni fa l’aeroporto di Birgi faceva 149.000 passeggeri quest’anno ne fa 2.200.000 e siccome noi chiaramente abbiamo la necessità di capire le ragioni per le quali i turisti vengono in provincia di Trapani, cercare di capire, certo vengono perché trovano convenienza venire qua perché abbiamo fatto un accordo con Ryanair che permette a questo territorio di poter andare nel resto d’Europa con pochi euro e permettere ai turisti di altri territori di venire qua. Paradossalmente i turisti vengono qua perché non conoscono San Vito ma conoscono il Cous Cous Fest. E grazie al brand i turisti che non trovano posto a San Vito si recano nei posti più vicini, Castellammare e Trapani e fanno la fortuna dei nostri territori perché ormai tutta la provincia è “invasa” pacificamente da turisti.

Perché dico questo, perché chiaramente chi ha organizzato il Cous cous festival è riuscito a fare passare un messaggio mediatico così importante che il territorio è stato all’altezza garantendo risposte mediante dei servizi e quella utilità che convincono le persone a ritornare: e questo io credo che sia un bene comune spendersi per far crescere un territorio che poi è attraversato da tante altre infinite difficoltà perché io sono convinto che a S. Vito lo Capo non c’è un solo disoccupato, sebbene nelle liste dell’Ufficio di collocamento ce ne sono iscritti mille, ma questo è un altro discorso.

Chiaramente qualcosa non funziona. Bisogna sapere essere protagonisti del proprio territorio e credere in quello che si fa. Bisogna continuare la scommessa, e quando questa scommessa la si fa nell’interesse della crescita generale, si fa soltanto un buon servizio. Quello che organizzate oggi è un convegno che ha questo spirito, e cerca di farci riflettere su questi argomenti e di dare delle soluzioni sulle quali riflettere , con questo auspicio io auguro buon lavoro e spero di rivedere ancora l’Associazione Camelos impegnata nella provincia di Trapani.

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Buon governo e rapporto tra etica e politica del Prof. Alberto Maira

Grazie Presidente, grazie a voi tutti, devo precisare di non essere responsabile dell’IRIS ma di avere un rapporto strettissimo con questo organismo, Alleanza Cattolica, che ha messo su questa mostra molto bene e di avere guardato con simpatia a questo testo culturale che sta girando l’Italia. Questa mostra è stata esposta anche al meeting di Rimini proprio il mese scorso e speriamo che sia foriera di riflessione il tema di dottrina sociale naturale cristiana, realtà della quale in modo particolare si occupa l’organismo che io qui rappresento, “Alleanza Cattolica”.

E forse l’opera del Lorenzetti all’interno della quale poi entrerà in prospettiva la Prof.ssa Spataro, non le ruberò il tema, è utile per sfatare un falso mito diffuso sull’argomento dellaDottrina Sociale della Chiesa. Nei nostri testi scolastici, manuali ancora in uso nelle nostre scuole che risentono di un certo periodo culturale confuso, mi riferisco al post ‘68, indubbiamente è stato un momento problematico della nostra storia culturale e c’è un passaggio a proposito della Dottrina Sociale della Chiesa che non mi sembra corretto e cioè che la dottrina sociale della chiesa sia nata sul finire dell’800, in modo particolare con Leone decimo terzo e con l’enciclica “rerum novarum”: poiché ad un certo momento la chiesa si rese conto che rischiava di essere superata in interesse e in attenzione per la classe operaia dal movimento anarchico, del movimento marxista e che rischiava di perdere gran parte di interesse da parte di questa realtà incomincia a dire la sua in tema di morale sociale.

È vero che il termine dottrina sociale della chiesa è un termine moderno sicuramente successivo alla “rerum novarum” stessa; è vero che l’attenzione tematica verso il mondo operaio così come si è rivelato nel mondo moderno è cresciuto perché è cresciuta questa classe che prima era inesistente prima della rivoluzione industriale; ma per dottrina sociale naturale cristiana, per dottrina sociale cristiana della chiesa si è sempre intesa all’interno della chiesa stessa, l’attenzione o il tentativo di tradurre lo spirito della Sacra Scrittura e i contenuti della Sacra Scrittura rivolti agli aspetti sociali.

Voglio dire, che in realtà l’attenzione della Chiesa su questi temi è vecchia quanto l’uomo, ed ha origine perfino prima che nasca la Chiesa con Cristo. Quando ad esempio nel il vecchio testamento, si tirano le orecchie ai potenti e si insegna che non debbono maltrattare i deboli.

Quando ci si insegna nel Vangelo che non bisogna sfruttare l’uomo, che bisogna rispettare la proprietà, che essa però ha dei limiti, che non significa l’infierire sui più deboli. Quando va dicendo queste cose, non sta forse producendo attenzione nei confronti dell’uomo ed attenzione alla realtà sociale? Quando entra nel merito e condanna, già durante il Medioevo, con pene severissime, la pratica dell’usura, soprattutto quella che, tende a passare il denaro a chi ha interesse a chi deve comprarsi il pane, escludendo dalla comunione ecclesiale coloro che praticassero tale attività da sempre considerata dalla chiesa illecita. Non sta facendo forse dottrina sociale? la chiamavano diversamente.

Non si sta interessando all’uomo nella sua dimensione sociale quando riprende i Re che prevaricano, quando riprende una certa nobiltà soprattutto quella della decadenza, quella nobiltà demenziale che ricordiamo spesso nel 700 europeo nel 600 europeo, giustamente criticata anche da una certa letteratura perché ormai non rappresentava più quasi nulla. Non è attenzione verso l’uomo nella sua dimensione sociale? Allora la dottrina sociale in questo senso c’è sempre stata, cioè c’è sempre stata l’attenzione, prima del Padre Eterno e poi della Chiesa nei confronti dell’uomo, della sua dimensione sociale. E’ semplicemente superficiale datare quindi questa attenzione con la “rerum novarum”.

E quando il Lorenzetti con i suoi dipinti ci dice che un buon governo fa bene alla salute delle classi governanti anche da un punto di vista spirituale e non solo dal punto di vista materiale, quando la famiglia va meglio, quando c’è una buona giustizia, quando la pratica delle virtù, che non è il bene operato ogni tanto; la virtù è il bene operato sistematicamente così come il vizio non è il singolo peccato. Il vizio è il consolidarsi nel male “va bè ho peccato una volta” vizioso “è solo una volta!” Ma se lo fa ogni giorno!, vizioso; la virtù è la stessa cosa: è un uomo straordinario, cosa ha fatto: ha dato il pane o 50 euro ad un uomo e poi non l’ha più fatto nel resto della vita per 90 anni; è un uomo virtuoso? No, è uno che ha compiuto il singolo gesto, buono; ma non è uno che pratica la virtù sistematicamente.

Pensiamo ora al Machiavelli; pensate un po’ come è stato interpretato “il fine giustifica i mezzi” che ognuno purchè deve e sempre raggiungere l’obiettivo e il consolidamento della conservazione del potere, qualsiasi cosa va bene. C’è una scuola gesuitica successiva al Machiavelli che ritorna su questo tema, Pedro di Benedaeira, uno spagnolo, è perché ormai l’idea trionfante dal Machiavelli in poi era quello, che “tutto può essere fatto per”. E ci fanno male anche nella prospettiva, che non è assente nel Lorenzetti anzi è ribadita, della prospettiva, il buon cattolico lo sottolinea, dell’aldilà.

Allora è estremamente importante all’interno di questo itinerario, un laico cattolico fa delle cose diverse nella vita dall’attività magisteriale e si occupa di arte e che trasmette dei valori e delle indicazioni precise su come si può realizzare il buon governo, ci dice anche che il buon governo non è un’utopia, perché se è un’utopia stiamo perdendo del tempo, non parliamo più di politica, andiamocene a casa e non si può fare niente.

L’uomo è un cumulo di malvagità e non si può sollevare da quella melma, va bè sciogliamo la comitiva, le associazioni, gli organismi non ne parliamo più, sciogliamo il Parlamento, ovviamente, e poi non serve a niente e invece ci dice si può, si deve, come? attraverso tutta una serie di virtù che non guarda dal punto di vista individuale ma pone dal punto di vista sociale. Cioè non sta parlando della giustizia che io devo praticare nei confronti del mio dirimpettaio o di colui che abita sotto casa mia ecc., ma della giustizia anche nella realtà statuale, nella realtà comunale nella realtà regionale,noi poi oggi dobbiamo avere la capacità di tradurre questo insegnamento in tutti gli ambiti,dalla nostra famiglia all’interno della quale, è vero, se i genitori danno un cattivo esempio, se istituiscono una famiglia mal ridotta evidentemente avrà dei riflessi sui figli e poi anche sociale, è un danno che non si smette mai di compiere, perché quasi quasi si tramanda, anzi sicuramente, si tramanda.

Allora mi avvio verso la conclusione. In questi anni c’è stata l’enfasi della coscienza, fare cose secondo coscienza, quindi non si può dire niente. C’è stato questo primato della coscienza: chi ha ammazzato la zia ha sentito questo grande bisogno, però l’ha fatto secondo coscienza, sì, non sente neanche lo scrupolo uno lo interroga: eh, eh, non conosceva mia zia! Perché se poi lei l’avesse conosciuta mi avrebbe dato ragione! e autogiustificandosi non sente neanche lo scrupolo e allora il fatto che non sente lo scrupolo che significa che non lo mandiamo in carcere, evidentemente la coscienza dice bene, ha detto bene a suo tempo il Santo Padre Paolo VI, ha detto la coscienza è come l’occhio; al buio l’occhio non serve a niente. Spegniamo le luci e poi proviamo a uscire. Penso che qualche filo ce lo trascineremo dietro, qualche sedia pure, qualcuno si romperà pure la testa…ma dice: aveva gli occhi! ma l’occhio necessita di illuminazione.

La dottrina sociale, questi frammenti di dottrina sociale attraverso un’arte e un’arte anche bella, cosa rappresenta cosa vogliono essere per noi per coloro che si occupano di sociale per coloro che si occupano di politica quindi non solo per i sindaci vogliono essere questa illuminazione: tenere la luce accesa, tenerla accesa bene, tenerla accesa sempre, opportune et inportune. E non solo in quei valori che ci possono anche piacere; ci sono sei virtù che troviamo nell’itinerario. Ce n’è una sulla quale, poi, tutti si possono trovare d’accordo anche perché viene intesa purtroppo ellenisticamente ed è una grande virtù anche sociale: la pace.

Però, siamo tutti d’accordo: chi è per la guerra? La pace certo! Inquadriamola bene, perché non è soltanto assenza di guerra ma pace intesa, seguiamo l’itinerario di Lorenzetti, in un certo modo non è solo assenza di guerra ma è anche, come diceva S.Agostino, la tranquillità dell’ordine, ogni cosa al suo posto, perché quando le cose sono messe male c’è disordine e questa è l’anticamera del contrario della pace. Ed elenca le quattro virtù che abbiamo tralasciato, perché ci sembrano forse da catechismo, la prudenza, ma di quanta lezione di prudenza, lasciamo stare il magistero xxxxx 39.32 vi prego di leggere l’interpretazione del Prof. Lorenzo Cantoni sul testo che vi è stato offerto di un vecchio numero di “Cristianità”: la prudenza, la giustizia, la fortezza, spesso la debolezza è stata esaltata come un bene, però attenzione la fortezza che non è l’uso della forza indiscriminata, la fortezza incontra immediatamente dopo la temperanza e la magnanimità e incontra la pace; alle quattro grandi virtù ne aggiunge due: la pace e la magnanimità. Sono, ritengo, delle belle lezioni da sapere leggere per noi tutti singoli e cercare di produrli. Quanta imprudenza in politica; sembra il regno dell’imprudenza, il contrario della prudenza; ma non perché tutti gli onorevoli corrono con la macchina, ma una cattiva valutazione, una non razionale valutazione. Prudenza è anche questa: l’uso articolato di ragione, che valuta le cose che le osserva attentamente .Allora calare questi valori all’interno della nostra vita individuale e della nostra vita sociale può essere il grande insegnamento che ogni giorno ci offre la chiesa e che ci è offerto anche dai dipinti di A. Lorenzetti.
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Genovese
Vorrei salutare l’on. Calogero Mannino, ringraziandolo per essere venuto. Caro Onorevole, capisco che ha tempi strettissimi, però ho necessità di rivolgerle una domanda e che spero vorrà trattare nel suo intervento. C’è nell’affresco del Lorenzetti, sulla sinistra del quadro, la giustizia. La giustizia è rappresentata da una bilancia, nella sua duplice funzione commutativa e distributiva. Io vorrei che lei da uomo politico che ha attraversato la prima Repubblica e la seconda Repubblica e che ha visto la giustizia nelle sue ampie sfaccettature, prima come ministro, poi come leader di un partito politico, poi, ahimè, come vittima di un ingiusto processo, ci desse il suo “affresco” della Giustizia.

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Sulla Giustizia intervento dell’On. Calogero Mannino

Io credo che bisogna tener presente che questo affresco, per chi l’ha visto anche nelle riproduzioni, ha diciamo, un doppio riferimento: giustizia e pace. E’ un affresco ordinato dalla borghesia di Siena che compie una vera rivoluzione, in quel tempo, contro l’aristocrazia e contro la conservazione. Essendo una borghesia che si è formata, che si è selezionata per via dei commerci, essa chiede libero mercato e quindi nel libero mercato, regole e chiede pace, perché il mercato può funzionare soltanto se c’è pace, ma chiede che la pace e il mercato siano regolati dalla giustizia.

Ora Piero ha fatto riferimento ai due criteri fondamentali della giustizia. Io credo, per la verità, che se dovessi aprire una riflessione su questa parola “giustizia” non dovrei, non potrei limitarmi a cinque minuti né alcuno di voi lo potrebbe fare, perché è uno di quei valori che nella sua definitività non ha delimitazioni, è decisamente rapportato ad ogni tempo, ad ogni società ad ogni condizione ma è al tempo stesso legata a principi fondamentali, cioè a valori fondamentali dei quali è decisivo il rispetto della persona umana. Non è possibile giustizia alcuna senza rispetto della persona umana; non è possibile legge che garantisca giustizia senza il criterio assoluto di riferimento alla persona umana alla sua dignità ed alla sua libertà.

Tutto ciò che ci hanno insegnato S. Tommaso e S. Agostino ha avuto nel corso del tempo rielaborazioni, adeguamenti ed aggiornamenti, però il punto fondamentale decisivo della giustizia è il rispetto della persona umana. Ora vedete, quando un sistema, un sistema politico trova difficoltà ad avere un ancoraggio certo alla giustizia, e prima di parlare di un caso particolare, per il quale avrei qualche difficoltà, mi voglio riferire ad un’esperienza che abbiamo fatto in questi ultimi mesi. Il mondo, globalizzato, grande conquista, quindi il mondo che si può realizzare con la pace, il mercato globale si è trovato di fronte ad una vera organizzazione di rapina, l’episodio in cui tutta questa tendenza si è concentrata, combinata, ha preso anche un simbolo, una banca, americana l’unica che è stata avviata al fallimento. Ora quando si va a guardare tutto ciò che è avvenuto nella vicenda di quella banca, tutto ciò che continua ad avvenire con i titoli di carta straccia che circolano sul mercato globale e che infettano tutti i mercati finanziari e il sistema bancario stesso, ci si domanda in quale sede, con quali strumenti, quale autorità può garantire la giustizia. Perché la giustizia è anche assicurare un diritto che sia stato leso nella ragione fondamentale della sua preservazione, della sua tutela. Come vedete il problema si sposta di confine, diventa un problema attualissimo. Allora non diventa un problema astratto, lontano da noi; implica e richiede riflessioni profonde che portino dai principi e dai valori agli ordinamenti, implica un lavoro politico di integrazione attraverso la pace degli Stati perché si stabilisca un forum nel quale questa giustizia possa essere preservata. Ma se non lo è a quel livello in quella sede, la domanda che ci si deve fare è sempre assicurata anche nell’ambito dell’esercizio dell’autorità dello Stato, perché la funzione fondamentale dello stato è quella di garantire la libertà e di assicurare la giustizia. Ora, tutti sappiamo che il problema dell’organizzazione dell’amministrazione della giustizia è un problema che non è mai stato risolto; è un problema che trova in sede teorica , anche in sede costituzionale principi e regole fondamentali, una delle quali è la separazione dei poteri è la certezza della legge. La certezza della legge che deriva da un brocardo del diritto romano, “nessuna pena senza legge”. Mi dispiace fare riferimento ad un caso che ho attraversato io, ma vi devo dire con senso di verità e così a bassa voce , con umiltà , che il concorso in reato associativo, per esempio, non è un reato previsto per complicità, è una creazione giurisprudenziale, è un reato immaginato, pensato, costruito, quindi, senza regola definitiva, dalla giurisprudenza, da una giurisprudenza che non dovrebbe essere abilitata a creare diritto, perché con molta semplicità la legge la deve fare il potere legislativo, il magistrato deve garantire il rispetto e l’applicazione della legge.

Ecco, io voglio richiamare alla vostra attenzione non su tutti gli altri aspetti, che pure sono importanti nella mia vicenda ma in questo punto fondamentale, in uno Stato come il nostro che è uno stato di diritto,vuole essere uno stato di diritto, in uno stato come il nostro che poggia la sua vita sulle fondamenta certe di una costituzione che, a mio giudizio, va difesa, mantenuta senza alterazioni, proprio sui punti fondamentali, quindi sugli articoli che definiscono il sistema delle relazioni fra i tre poteri e quindi creano le condizioni per un’ordinata repubblica, quella dell’affresco vuole essere una ordinata repubblica, quella del buon governo; quella del buon governo, nella situazione italiana è anche quella che ripristina le regole fondamentali che assicurano la certezza del diritto e che rispondono al principio della separazione dei poteri. Perché se, ogni potere gioca a sovrapporsi oltre che a contrapporsi agli altri poteri, noi non abbiamo un buon governo, noi abbiamo un disordine noi non abbiamo una repubblica, noi abbiamo una sostanziale anarchia.

Ed allora perdonatemi, ma vorrei lasciare soltanto questo messaggio alla tua sollecitazione, chiedendo scusa perché purtroppo io sono costretto ad andare a Pantelleria perché oltre a fare il politico io faccio il viticultore e devo concludere la vendemmia. Vi auguro un buon lavoro.

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Il Buon governo di Ambrogio Lorenzetti, a cura della prof. Maria Antonietta Spadaro

Ringrazio gli organizzatori, il Presidente Pietro Genovese, gli organizzatori di questo convegno, perché mi hanno invitato per la seconda volta a parlare di A. Lorenzetti e dei suoi affreschi e quindi mi trovo di nuovo con alcuni di voi con molto piacere, soprattutto in questo bellissimo luogo.

Adesso vedremo le immagini, poi avete anche nella sala alcune riproduzioni degli affreschi di A. Lorenzetti. Parliamo di un momento cruciale della storia dell’arte non solo italiana, perché l’Italia centrale indubbiamente nel 300 inaugurava una svolta di portata straordinaria. Abbiamo Giotto, chi è che non conosce Giotto, abbiamo Simone Martini e Lorenzetti. Qual è la grande rivoluzione che fanno questi artisti? Essi si staccano da una cultura ancora imbevuta di linguaggio bizantino dell’icona, dell’immagine sacra e svincolano il loro linguaggio da queste rigide impostazioni che si tramandavano da tempo e aprono in un linguaggio volgare. Così come fa Dante, che si esprime in volgare. Che significa si esprime in volgare? Usa l’Italiano. Ora questi affreschi di Lorenzetti così come gli affreschi di Giotto ad Assisi o a Padova parlano a tutti, parlano alla gente e sono immagini volutamente esplicite, chiare.

Poca gente sapeva leggere ai tempi e quindi, trasmette determinati messaggi attraverso immagini concrete, chiare. Era importante, e inaugurano praticamente l’arte moderna. Inaugurano quella espressione che diventerà trainante per la cultura figurativa europea, per la cultura europea, direi; e Siena, tutto questo non è un caso, perché è chiaro che l’Italia centrale, all’epoca, era un paese che aveva un’economia che era invidiata da tutta l’Europa. Quindi una situazione felicissima, Siena era una città, come si vede negli affreschi, costruita di mattoni, di pietra, moltissime la maggior parte delle città d’Europa erano di legno, con le case in legno. E questa ricchezza viene fuori osservando, appunto guardando questi affreschi, ma vengono fuori tantissime altre cose. Cominciamo a vedere queste immagini, per favore e, allora, noi non vedremo molte delle immagini, perché il computer non le legge, pazienza.

Questa, comunque, è la Piazza del Campo di Siena, è una delle Piazze più importanti del mondo, possiamo dire con questa splendida costruzione, con questa Piazza che ha una forma di una conchiglia e Siena ha questi edifici che seguono come il Palazzo Pubblico, il Palazzo del Governo, seguono la concavità della Piazza. Ecco questo è il Palazzo che accoglie gli affreschi di Lorenzetti. Andiamo avanti. Siena, al culmine del suo splendore, dopo essere stata ghibellina, fu retta da regimi guelfi, di cui il più noto fu il Governo dei Nove, poi ci soffermeremo di più su questo discorso, in carica dal 1287 al 1355. Come in altri Comuni del tempo, i nobili e i magnati erano esclusi dal governo, anche se potevano assumere altri importanti incarichi e avevano sempre grande influenza nella vita cittadina. I Nove venivano scelti tra i membri di famiglie del popolo e facoltose, in prevalenza mercantili. Fino all’epidemia di peste del ‘48 che decimò la popolazione provocando la morte anche dei fratelli Pietro e Ambrogio Lorenzetti; Siena ingrandì il suo territorio,in modo straordinario, proprio grazie ad un Governo buono, ecco, furono costruiti importanti edifici, con una attenzione costante al decoro urbano, che era regolato da apposite leggi. I Nove intervenivano su ogni materia, erano coinvolti ovunque, anche nello “Studium”, vedremo ora negli affreschi, questo aspetto, nelle missioni diplomatiche, negli interventi edilizi, nel fisco, nella nomina di commissioni legislative ed esecutive, nel patrimonio fondiario, e talvolta fungevano, almeno per le cause minori, anche da corti d’appello, finendo per agire in questioni giudiziarie, esecutive e legislative, senza che vi fosse una pur minima separazione tra le tre funzioni. Il mandato aveva durata bimestrale e già uno statuto del 1287, rimasto in vigore per l’intero regime dei Nove, protrattosi fino al 1355, disponeva che questi dovevano “appartenere alla schiera dei mercanti della città di Siena, ovvero della “mezzana gente”.

A quell’epoca, d’altronde, erano già trascorsi dieci anni da quando era stata emanata la legge antimagnatizia lo dicevamo prima, che escludeva i membri dei casati dalle cariche di governo, le quali potevano essere appannaggio solo di “buoni e legittimi mercanti e amanti della Parte guelfa di Siena”, esclusione che venne ben presto estesa anche ai cavalieri, ai giudici, ai notai e ai medici. Ancora oggi si discute che i medici non dovrebbero avere cariche politiche, per esempio. Essere eleggibile per quella magistratura, quindi, costituiva un grande onore, ma se ai Nove venivano riconosciuti privilegi speciali, va detto che molte furono anche le restrizioni, a partire dallo stipendio, praticamente inesistente.

Riguardo ai divieti, però, l’elemento più innovativo fu un altro: quello dei Nove fu il primo governo senese ad essere posto in stato di pressoché totale isolamento, allo scopo di proteggere quanto più possibile i suoi componenti dai condizionamenti esterni, “quasi prigionieri” notò Cesare Brandi, in modo che l’imparzialità della loro azione fosse garantita al massimo. Evidentemente le precedenti magistrature dovevano aver conosciuto varie “interferenze private”. Quindi questi Nove venivano reclusi, letteralmente, nel Palazzo del Governo e non potevano uscire.

Costruito il Palazzo pubblico, i Nove dovettero sentirsi ancor più segregati; si era pensato a tutto, pur di impedirgli di uscire dal palazzo durante il loro breve mandato: erano dotati di personale privato, comprendente un cuoco, un barbiere e diversi messi, pensate che il barbiere, che faceva anche da sagrestano ad un certo punto loro decisero che non poteva fare il doppio lavoro, perché suonando le campane le mani gli diventavano troppo nodose, e quindi dopo non avrebbe potuto fare bene il barbiere.

Disponevano di una cappella per la messa quotidiana ed era possibile allontanarsi solo dietro l’ottenimento di un permesso speciale, salvo per le occasioni espressamente previste, come nel caso di grave malattia di un congiunto o per prendere parte a festività politico-religiose di grande rilevanza come quelle di Sant’Ansano, del beato Ambrogio Sansedonio o dell’Assunta.

Il Podestà era addetto al controllo dei loro movimenti e poteva multarli in caso di trasgressione; dal 1310, infatti, poteva infliggergli una contravvenzione piuttosto salata, che andava da 5 fino a 10 lire nel caso avessero lasciato la città per recarsi “alla loro vigna o vero podere o vero ad altro luogo”. Insomma era un bimestre assai impegnativo e chissà, forse furono proprio le lamentele di qualche Governatore a convincere della necessità di dotare il palazzo di un ampio loggiato ricavato nella parte retrostante, dove potessero “prendere aria” (infatti si chiama, l’aria dei Nove), nei momenti di libertà e vedere almeno un piccolo scorcio della città. Questo salone serviva anche per ricevere gli ospiti e illustrare, quindi, quale era la loro filosofia politica.

Il Comune contribuiva regolarmente alle spese per l’esecuzione di opere d’arte. Ricordiamo la grande Maestà dipinta da Duccio di Boninsegna nel 1311. Ambrogio Lorenzetti e il fratello maggiore Pietro, operarono tra Firenze e Siena, lasciando diversi capolavori, fin quando la partenza di Simone Martini, che era un grande artista senese, per la corte di Avignone, intorno al 1335, non lasciò i Lorenzetti padroni della scena artistica senese. Ambrogio in particolare ebbe l’incarico nel 1337 di affrescare il salone dei Nove nel palazzo pubblico con le notissime Allegorie del Buono e del Cattivo Governo.

Come dicevo poc’anzi, è chiaro che si tratta di un’esperienza straordinaria per grande modernità, per grande testimonianza civile e politica tra le più moderne della storia della pittura occidentale. Vediamoli. Lanzi le definì il “buon governo” mentre fonti più antiche lo videro come la rappresentazione della pace e della guerra, come fatto modale e fondamentale, ma è chiaro che il discorso è molto più complesso. E ci sono delle iscrizioni che accompagnano gli affreschi e sono estremamente coerenti, chiaramente, con quanto dipinto.

Il ciclo degli affreschi media una radice aristotelica con gli scritti dei pensatori cristiani e dei giuristi medievali. I Nove ricevevano nel salone gli ospiti ai quali attraverso tali dipinti esplicitavano quali fossero gli ideali ispiratori del loro sistema di governo.






Andiamo avanti, vediamo altre immagini. Ecco nell’insieme non l’abbiamo potuto vedere ma lo vediamo nel dettaglio. Incominciamo col buon governo.

Il capo del governo è seduto al centro ha uno scudo dove c’è una Madonna col Bambino e questi tessuti bellissimi, una specie di divano con un panneggio di stoffa pregiata, la tessitura era un fatto importante nell’Italia centrale, all’epoca.

La Prima donna. Questa è la Pace, poi forse dopo vedremo un dettaglio, non so se si vedrà. La Pace, elegantissima con questa veste abbastanza ricca di pieghe e anche aderente poggia su un cuscino che a sua volta poggia su delle armi, su delle corazze. Ecco la pace che è minacciata continuamente dalla guerra. Quindi mantenere la pace non è facile neanche nelle situazioni più felici.


Abbiamo da quella parte la Giustizia che non si vede qua, che spero vedremo dopo. Al centro vedete i due gemelli che come Romolo e Remo rappresentano le origini mitiche e c’è una lupa, vicino, della città di Siena che rivendicava così un’analogia con Roma. Questo corteo, che vedete qui, di persone porta una corda che è data dalla concordia che sta sotto la giustizia (che però la sotto non vediamo, spero che si veda in un’altra immagine). Di qua ci sono dei soldati con dei prigionieri, quindi mantenere l’ordine e punire se è il caso, era previsto. Questo è un particolare del Capo del Governo con una barba bianca, un uomo maturo, uno sguardo deciso ma sereno e benevolo, con una veste preziosa, elegante è anche importante questo discorso per capire l’abbigliamento. In particolare quella parte dell’affresco che poco fa non vedevamo. Ecco la Giustizia con i piatti della bilancia e c’è chi punisce ,naturalmente in maniera equa, quella corda che la concordia intreccia da ambedue i capi, uno parte da una parte della bilancia, l’altro pezzo s’intreccia, con questa corda e viene passata a questi 24 consiglieri del Governo che dirigono questo corteo e la corda che tengono sta a significare appunto l’unione, la concordia fra di loro.



Ecco è la Giustizia, dotata di bilancia che premia e punisce , mentre in basso è la Concordia da cui prende l’avvio il corteo dei consiglieri. In una sorta di divano sono assise la Pace, la Fortezza, la Prudenza, la Magnanimità, la Temperanza e la Giustizia che affiancano il buon capo del governo, il bene comune, su cui aleggiano le virtù teologali (Fede, Speranza e Carità). Infine dei soldati conducono alcuni prigionieri,come si nota la Giustizia è l’unica allegoria che appare due volte. Evidentemente il suo ruolo, in un buon governo era considerato assolutamente fondamentale. Questo, all’epoca, successivamente, ci furono altre raffigurazioni della Giustizia come vediamo qui in questa opera di gusto diverso del gotico internazionale di Iacopello del Fiore a Venezia, la Giustizia tra gli arcangeli Michele e Gabriele, ma siamo nel 400.

Il corteo dei 24 consiglieri ve lo ripropongo perché è anche un’annotazione di costume, perché vediamo come sono vestiti. Questo momento storico è il momento di passaggio in cui si inizia a differenziare l’abito maschile da quello femminile. Mentre prima sia le donne che gli uomini portavano delle tuniche così, lunghe, ad un certo momento i vestiti degli uomini cominciano ad accorciarsi e allora vediamo quasi al centro, vedete, c’è n’è uno che ha la veste più corta. Se riflettete, sicuramente, film o altre cose che abbiamo visto, gli uomini poi, nel 400 addirittura hanno le gambe scoperte e hanno quelle calzamaglia a volte microme, certe volte ,e invece le donne continuano ad avere abiti lunghi. Quindi questo uomo messo lì era il più moderno, il più à la page, anche perché l’unico che ha una barbetta, quindi evidentemente era uno che ci teneva molto a differenziarsi dagli altri e a seguire una moda all’ultimo grido. Ecco vediamo il particolare della pace, qua si vedono meglio quelle armature che stanno lì sotto e tiene in mano un ramoscello d’ulivo, ovviamente. Gli effetti del buon governo, in una parete abbiamo questa allegoria del buon governo con tutte queste figure allegoriche, appunto, dopo di che si entra nella città. Ed entriamo in questa città, ben governata, dove tutto funziona alla perfezione, vedete gli operai che sistemano una copertura e vediamo queste bellissime costruzioni, ovviamente, seicentesche, con le merlature, con le bifore e con questi loggiati; sotto c’è un corteo, una danza di donne, ci sono tante cose che spero, vedremo adesso. Come dicevo era una città in muratura a differenza delle altre città europee che erano ancora in legno.

Qui vediamo, c’è chi dice Lorenzetti non mostrava proprio Siena ma una città in generale, no, era proprio Siena, infatti vedete la cupola, ha voluto fare questo raffronto, vedete il campanile è chiaro che non è la Siena di oggi con tutto che essa ha mantenuto abbastanza integro il proprio centro storico. Però, Siena in quegli anni, così, questo non c’entra niente con gli affreschi, la sua splendida cattedrale era così ricca che pensò di fare diventare quella meraviglia che è la cattedrale, il transetto di una cattedrale più grande. E vedete lì l’inizio di una costruzione, che però non fu mai compiuta e rimase un pio desiderio, comunque ugualmente splendida la Cattedrale di Siena.

Vedete in particolare, queste logge, tutto perfettamente, la gabbia con l’uccellino, per dire, c’è tutto dipinto in maniera chiara, in maniera precisa, documentaria, diciamo così, e gli operai che lavorano. Qui vedete il particolare di un balconcino con un nido sotto e con un uccellino, ecco queste piccole notazioni che rendono verosimile e concreta l’immagine della città.

Qui si vede lo studium, c’era tra l’altro la bottega dei calzolai, si da risalto alla bottega del calzolaio forse perché questa corporazione aveva sventato tra il 18 e il 25 la cospirazione dei nobili, dei notai e dei beccai, che volevano rovesciare il Governo dei Nove ed instaurare una Signoria. È chiaro che un equilibrio assoluto non l’avevano neanche i Nove con tutto quello che abbiamo detto e che erano sempre minacciati da diverse proposte di Governo. Poi c’è la lezione universitaria, lo studium dicevamo, probabilmente in competizione, allora, con l’Università di Bologna. E poi c’era il ciclo della lavorazione della lana e delle sculture tessili, il corteo de cavalieri, vediamo appunto la lavorazione della lana e ci avviamo verso la porta della città con le mura e quindi questa geniale impostazione di Lorenzetti che ha messo a confronto la città e il contado, quindi le due facce dell’economia senese e non solo senese ovviamente.

Vediamo uno dei primi nudi della pittura italiana, questa la Securitas, è la sicurezza, tiene in mano una sculturina, dove c’è un impiccato, quindi la sicurezza si mantiene minacciando anche la pena.

E vediamo che ci sono dei cavalieri che si recano alla caccia con il falcone, escono dalla porta ma entrano anche dei contadini con degli animali.

Ecco questo cartiglio che abbiamo visto prima si legge: Senza paura ogn’uom franco camini, e lavorando semini ciascuno, mentre che tal comuno manterrà questa donna in signoria,ch’el à levata a’ rei ogni balia.

Sulla porta vediamo questi, Aschio e Senio che abbiamo visto, sono li sopra, vedete la porta c’è la lupa, ecco, che l’avevamo vista nell’affresco precedente e sono i due mitici fratelli, considerati i mitici fondatori della città.

Qui vediamo dei particolari di grande modernità, di grande freschezza pittorica e a me ricordano tantissimo, perfino la pittura di Van Gogh, questi contadini, questi galletti e questi mucchi di paglia.

Quindi il rapporto tra città e contado è perfettamente illustrato con questa prospettiva con un uccello che mostra un susseguirsi di boschetti, di coltivazioni ordinatissime, non so se riusciremo a vedere perché forse questa immagine non si vedrà, gli effetti del cattivo governo che invece mostrano un desolante panorama di costruzioni rurali in fiamme e gruppi di manigoldi che seminano terrore e devastano ogni cosa.

Quindi tutto è giocato su questo confronto tra il buono e il cattivo governo.

Intanto vediamo l’allegoria del Cattivo Governo, chiaramente non poteva non ricordare un diavoletto con le corna e tutti i consiglieri al contrario del buon governo sono tutti i vizi e tutte le peggiori cose. La Giustizia è incatenata, imbavagliata, la sotto; il Cattivo Governo nelle vesti di un diabolico tiranno che tiene un pugnale e un calice con veleno. È consigliato dall’Avarizia, dalla Superbia e dalla Vanagloria. Lo affiancano Crudeltà, Tradimento, Fraudolenza, Furore e Guerra; mentre la Giustizia in basso, è tenuta prigioniera.

E qui lo vediamo più da vicino, vediamo proprio tutti i simboli del male che non fanno altro che consigliare questo cattivo governante.


Ecco, la città mal governata: tutte le case sono in rovina non ci sono intonaci ben messi addirittura crollano, sembra di vedere il centro storico di qualche città siciliana. E poi l’unica bottega che funziona è quella del fabbricante d’armi e poi qua c’è una scena di omicidio, tutto quello che di peggio può succedere in una città e purtroppo succede in molte città.

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Saluto del Presidente del Calampiso Village, Avv. Ettore Tennerello

Assolvo a questo impegno di dare il benvenuto ai presenti, a tutti i partecipanti al Convegno e nella qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione di Calampiso, posso certo assicurare che cercheremo di assecondare tutte le esigenze di questo Convegno, esigenze culturali, organizzative che possa fare usufruire dei vantaggi che la natura, questa natura, così come è preservata dalla Riserva dello Zingaro ci consente, oltre alla bellezza di una struttura che solo fino a 50 anni fa era impossibile giuridicamente creare

Ma il risultato è in ogni caso stupendo. Vorrei tra coloro che già sono intervenuti, vorrei ricordare a tutti, ma un particolare ringraziamento, qualcuno glielo comunicherà, al Sindaco Rizzo il quale ci è stato molto vicino, nel recupero di questo villaggio che si avvia ad essere quello che è stato fino a qualche anno fa. Ringrazio naturalmente il Dott. Genovese come persona umana, come intellettuale, come Presidente della Camelos perché ha creato un qualcosa che è fuori dal tempo, in un tempo nel quale le ideologie sono scadute, occorre rimettere al centro della vita politica, i valori, l’ethos e le virtù. Potrebbe sembrare anacronistico, ed invece conta, vi confesso ho assistito già ad altri vostri incontri e mi sembra di ritrovare da voi un’atmosfera da seminarium rei publicae, un luogo di formazione culturale che diventa propedeutico all’acquisizione di una rinnovata consapevolezza del proprio ruolo di cittadino all’interno della Polis”.

Mi auguro che possiate godere del convegno e della permanenza presso la nostra bellissima struttura di Calampiso.