venerdì 27 maggio 2011

Critica della Critica – replica al post di Inzerillo e Monaco

Riceviamo e pubblichiamo con piacere la nota di risposta del prof. Mazzola, che risponde ad un post pubblicato alcuni giorni fa dall'Ing. Inzerillo e dall'arch. Monaco.
Ci auguriamo che il dialogo sviluppato sul blog possa servire per rendere realizzabile l'idea di una rigenerazione dello Zen.

Che gli architetti appartengano alla specie più litigiosa, invidiosa e complicata del pianeta è ormai cosa nota. Che questa loro speciale condizione esistenziale li porti ad usare strategie scorrette, inclusa la “macchina del fango” per screditare i colleghi è altrettanto vero. Questa innata attitudine alla rivalità genera però conseguenze delle quali gli unici a soffrirne sono le persone comuni che nulla hanno a che fare, né vogliono averne, con loro.

Il post di Inzerillo e Monaco che critica i risultati della conferenza del 5 maggio all’Hotel Wagner di Palermo, durante la quale mi è stato chiesto di sviluppare un progetto di rigenerazione urbana dello ZEN, è un esempio lampante di chi, ritenendosi “escluso” dalla ricerca progettuale in corso, decide di attaccare a testa bassa usando argomenti capziosi con l’intento di far apparire l’antagonista (il sottoscritto in questo caso), un ignorante in materia edilizia, specie in materia di costi di costruzione, un personaggio ridicolo che vive in un mondo irreale e sembra esser stato proiettato in questa realtà dal XIX secolo.

Rispondo dunque agli interrogativi posti nella speranza di far chiarezza. Per semplicità lo faccio di seguito ai loro quesiti.

(affermazione) – “Superficiali appaiono di contro le critiche che essi muovono all’architettura del quartiere, accusata di essere la causa prima del degrado in cui i suoi abitanti si trovano a vivere”.

(Risposta) – basterebbe loro fare un semplice raffronto tra l’obiettivo di Gregotti, Purini, Amoroso, Bisogni e Matsui, con quelle che sono poi state le dichiarazioni dello stesso Gregotti durante il programma “le Iene”.

Mentre l’obiettivo iniziale era quello di “realizzare il progetto della modernità, mirante a realizzare – grazie all’architettura – una società più giusta, dove avrebbero trovato posto gli ideali di fraternità, uguaglianza e libertà”, alla domanda posta dal giornalista delle Iene a Gregotti, “perché se dice che è tanto riuscito e bello non ci va lei a vivere allo ZEN” la risposta fu “che c’entra io faccio l’architetto, non faccio il proletario!”. Diviene dunque quanto meno difficile riconoscere quell’ambito principio di “fraternità, uguaglianza e libertà”, e, per dirla tutta, se questi personaggi conoscessero un po’ di storia dell’urbanistica, e soprattutto di storia della Sociologia Urbana, del primo Novecento, si renderebbero conto che la ristrettezza di vedute dell’ideologia che ha generato lo ZEN – che loro non hanno il coraggio di criticare (forse per non inimicarsi il direttore della più autorevole rivista di architettura italiana) – fece sì che tutti i traguardi (soprattutto in materia di integrazione) che erano stati raggiunti, e superati, dalla ricerca sull’edilizia residenziale pubblica fino agli ultimi anni ’20, ma già dal lavoro di Luzzatti (autore della legge che istituì l’ICP), di Orano, Montemartini, Casalini, Schiavi, Colajanni, Giovannoni, Magni, Pirani, Marconi, ecc. venissero ignorati in nome di una presunta “modernità” che, nella realtà, si chiama “modernismo”, ovvero una versione parziale e ideologica di ciò che è la modernità stessa. Tra l’altro, l’affermazione di Gregotti risulta talmente classista che diviene davvero difficile non accorgersi che quel tipo di edilizia (perché non si può parlare di architettura) risulti “criminogena”. Rimando ai miei scritti sul lavoro di Orano a Testaccio e sulle Banlieues francesi per approfondire il tema e vedere come gli specialisti del settore abbiano da tempo ampiamente dimostrato questa cosa.

(affermazione) – “ … irrealizzabile, oltre che non condivisibile, la loro proposta (fatta in recenti convegni a bella posta organizzati, ultimo dei quali tenutosi a Palermo lo scorso 5 maggio) di demolire le famose e deprecate insulae gregottiane per sostituirle con nuovi isolati di forme e linee ottocentesche, con abbondanza di porticati, colonnati, frontoni, loggiati, altane, arricchiti da decorazioni di vario genere, scenograficamente dislocati, frutto dell’ingegno progettuale di Ettore Maria Mazzola. Questo è infatti il tipo di quartiere ideale che l’arch. Mazzola propone per l’analoga operazione (demolizione e ricostruzione) del famigerato Corviale di Roma, portandolo ad esempio di quel che si potrebbe fare allo ZEN/2 di Palermo”,

(Risposta) – qui si critica, a priori, un progetto che non esiste ancora, si fa riferimento al progetto di Corviale, ma anche qui si parla di un progetto con “isolati di forme e linee ottocentesche, con abbondanza di porticati, colonnati, frontoni, loggiati, altane, arricchiti da decorazioni di vario genere, scenograficamente dislocati” dimostrando che essi non conoscono le differenze tra l’architettura e l’urbanistica ottocentesca e quella del Novecento che, evidentemente, nella loro mente esiste solo a partire dall’opera di LeCorbusier e del Razionalismo. Criticare un progetto che non esiste è un fatto che si commenta da sé, quindi lasco ai lettori la libertà di capire dove risieda la verità; mentre, per quanto riguarda la critica all’architettura dico che nella mia ricerca per il Corviale, la critica all’800 è proprio il fondamento! L’architettura ottocentesca, nella fattispecie quella di matrice Beaux-Arts, era fatta di palazzoni con belle facciate e condizioni spesso invivibili all’interno (si veda la critica del “Comitato per il Miglioramento Economico e Morale di Testaccio” pluricitato nel testo del Covile richiamato dagli autori del post). La tipologia edilizia ottocentesca prevedeva il “blocco chiuso”, mentre la ricerca dei progettisti dell’ICP, da Magni e Pirani in poi, grazie anche all’apporto della Eziologia, si basò sulla “casa a corte”, con ampi cortili a giardino con campo di gioco per i bimbi, cortili che erano visti come “estensione delle abitazioni e come luoghi sicuri per i più piccoli e gli anziani”. Tra l’altro questa tipologia era anche un qualcosa che nasceva, gioco-forza, per creare quei luoghi per la socializzazione che l’urbanistica, ancora legata alle griglie ottocentesche, aveva dimenticato …. Mi fermo qui perché diverrebbe un trattato, e mi limito a far riflettere sulla necessità di conoscere a fondo la storia per poterla criticare, pur rendendomi conto che chi si è formato con un insegnamento limitativo (Gropius e Zevi sostenevano che l’insegnamento della storia dovesse bandirsi perché “limitativo della mente dell’architetto”), difficilmente potrà mai accettare di mettere in discussione i suoi miti e riprendere in mano i testi che non gli sono stati forniti a suo tempo, sicché risulta più facile fare come la storia della “volpe e l’uva”.

(affermazione) – “ … si lancia (Mazzola n.d.r.) in arditi piani economici, fondati sulla ottimistica (irrealistica) previsione di un costo di costruzione pari a €/mq 233, mentre in realtà ammonta oggi a circa €/mq 1.000 (che si incrementerebbe del 50% se i nuovi edifici dovessero avere le caratteristiche del costoso modello ideale proposto per il nuovo Corviale), nonché sulla altrettanto ottimistica possibilità di cospicui ricavi derivanti dalla vendita sul mercato immobiliare di una parte dei nuovi alloggi, oltre che dei negozi ai piani terra, in modo da favorire la promiscuità e quindi l’integrazione delle classi sociali chiamate ad abitare il nuovo quartiere”

(Risposta) – questo è un commento falso e vile, poiché mira a far ritenere che il sottoscritto non abbia alcuna cognizione dei costi di costruzione: gli autori hanno INTENZIONALMENTE fatto confusione tra costo al metro quadrato e costo al metro cubo, al fine di far credere che si sia sostenuta una tesi secondo la quale costruire costi meno di ¼ del costo reale! Il costo di 233 €/mc è quello che la Regione Sicilia indica come costo medio di costruzione per l’edilizia corrente e che, chiunque voglia verificare, è disponibile on-line. Questo costo, benché non molto realistico, è ciò che gli organismi preposti al controllo e vigilanza suggeriscono, tuttavia nelle stime che il sottoscritto ha indicato per il Corviale (e non per lo ZEN) fanno riferimento a quello che è il costo medio per l’edilizia residenziale di lusso nell’area romana, indipendentemente dagli irrisori costi finali attualizzati (ampiamente documentati nel corso della conferenza) relativi ad una serie di edifici popolari di grande pregio (San Saba, Testaccio, Garbatella, Flaminio, Trionfale, Piazza d’Armi, ecc.) realizzati in tecnica tradizionale e che sono costati di gran lunga meno di quanto possa credersi. Questa critica, dunque, è quella che Roberto Saviano definisce “macchina del fango”!

(domanda) – “Premesso che lo ZEN/2 di Gregotti non costituisce per noi un modello ideale e che molti sono gli errori fatti dai progettisti, non vi sembra di avere trascurato che buona parte dei disagi dello ZEN/2 derivi dal fatto che il quartiere non è mai stato completato nei servizi, nelle attrezzature e nelle infrastrutture di supporto (fognature comprese) e, soprattutto, che il 80% dei suoi alloggi è stato occupato ed è abitato abusivamente in modo da dare vita a un aggregato sociale privo di regole in cui vige la legge del più forte che regola perfino l’alimentazione idrica ed elettrica e che ha stravolto la destinazione dei locali ai piani terra? (d’altronde, basta vedere la positiva differenza costituita dall’unica insula abitata dai legittimi assegnatari)”.

(Risposta) – a questo ho già in parte risposto, dunque non mi ripeto. Attaccarsi alla scusa della mancata realizzazione complessiva del progetto risulta sterile. Anche se i servizi fossero stati realizzati, infatti, l’impianto urbanistico architettonico spersonalizzante è fin troppo ben definito e sufficiente a ritenere che la scusa non sia plausibile e che, eventualmente, risulti anche offensiva per i residenti, per Palermo e per l’Italia. Aver sentito Gregotti prendersela con l’Italia e con la mafia ha dell’assurdo! Esiste una bibliografia scientifica vastissima che dimostra come determinati ambienti risultino deleteri per i residenti e perfino generatori di violenza, così come esistono studi, a partire da quello citato di Testaccio, che dimostrano come determinati ambienti risultino “educativi” e migliorativi a livello comportamentale, tant’è che lo slogan dell’ICP di Roma dopo il successo del lavoro di Magni e Pirani (1918) divenne “La Casa Sana ed Educatrice”.

(domanda) – Cosa vi fa pensare che il quartiere ideale prefigurato da Mazzola non incorra negli stessi fenomeni di abusivismo e di illegalità, con relative conseguenze, dello ZEN/2?

(Risposta) – questo non si può dire, ma nemmeno è possibile sostenere il contrario, in ogni modo il sistema cooperativistico dei “costruttori-consumatori” coordinato dallo Stato, teorizzato da Montemartini e adottato a Testaccio che è stato menzionato nel testo del Covile fa sì che si possa essere fiduciosi.

(domanda) – Ricorrendo a quale sistema di polizia pensate di potere evitare il reiterarsi delle attuali condizioni di illegalità ed abusivismo?

(Risposta) – la risposta è già sopra, in ogni modo penso che la polizia possa servire solo a sottolineare come non ci si debba fidare della gente! Diversamente, dandole fiducia, come fecero i pionieri della sociologia urbana del primo Novecento, è stato dimostrato proprio il contrario. Responsabilizzare direttamente i cittadini, dargli un lavoro con la promessa di un tetto, piuttosto che diffidare di loro e sorvegliali militarmente dà gli stessi risultati che si ottengono educando i bambini col ragionamento e il rispetto piuttosto che picchiandoli senza ragione! “Il lavoro nobilita l’uomo”.

(domanda) – Avete considerato, tra i costi dell’operazione da voi proposta, quelli indispensabili per la demolizione e lo smaltimento dei relativi materiali di risulta, pari ad almeno un terzo del costo di costruzione a nuovo?

(Risposta) – se non esiste ancora il progetto, perché fate questa domanda? Forse perché volete criticare e deridere in partenza? Per quanto riguarda il progetto di Corviale, se avete fatto attenzione durante la conferenza, (e non avete avuto un atteggiamento prevenuto simile a quello della professoressa d’urbanistica e del dottorando che a fine convegno mossero delle critiche che evidenziarono solo il fatto che, essendo totalmente distratti dalla rabbia “a priori”, non avevano ascoltato le cose che si erano dette in materia di partecipazione e altro), i costi di demolizione e smaltimento sono stati presi in considerazione!

(domanda) – Dove e come pensate di parcheggiare gli attuali abitanti dello ZEN2 durante le lunghissime operazioni di demolizione e ricostruzione del quartiere?

(Risposta) – questa domanda dimostra che non avete posto alcuna attenzione alle parole dette e scritte, né avete visto le immagini relative alle fasi di sviluppo del progetto di Corviale: gli abitanti non si sposteranno di un millimetro finché le nuove case non saranno pronte! Si procederà per fasi riempiendo i vuoti!

(domanda) – Non ritenete che, piuttosto che perseguire anacronistiche utopie, sarebbe più utile e concretamente produttivo per gli abitanti del quartiere ZEN/2 studiare e proporre modifiche, aggiustamenti e completamenti (architettonici, infrastrutturali, organizzativi, etc.) dell’attuale quartiere, effettivamente realizzabili a costi credibili e contenuti e con procedure rapide, cercando al contempo di ripristinare ordine e legalità?

(Risposta) – utopistico è stato il lavoro di Gregotti & co. Utopistico, e costosissimo, è pensare di mantenere in vita un’edilizia pubblica sanguisuga che versa in condizioni vergognose e che richiede ingenti costi di manutenzione sostenuti con le tasse di tutti noi! Anacronistico è chi si fossilizza sul linguaggio e sulle tecniche e materiali di matrice modernista, che nell’era della sostenibilità non hanno più ragione d’essere. Costi credibili e tempi brevi sono quelli impiegati per la costruzione dei quartieri popolari che ho citato più volte che dimostrano la fattibilità dell’operazione e il ritorno della stessa. Risultati eccezionali in materia di sostituzione edilizia antisociale con quartieri a dimensione umana miranti all’integrazione sociale e alla vitalità del quartiere, sono dietro l’angolo: a Parigi, il quartiere di Plessis Robinson, è un esempio di sostituzione edilizia di un complesso quasi identico allo ZEN con un quartiere che, oltre ad aver portato ad un indubbio successo sociale, si è rivelato un enorme successo politico (il coraggioso sindaco viene rieletto da oltre 20 anni), ed economico, perché le richieste di andarci a vivere sono superiori alle dimensioni originariamente previste, tant’è che il modello di sviluppo viene ora utilizzato in altre realtà!

(domanda) – Per la localizzazione e la realizzazione di nuovi interventi di edilizia economica e popolare riteniamo che si debba evitare di confinarli in quartieri periferici chiusi in sé stessi, inevitabilmente destinati alla ghettizzazione dei residenti, privilegiando piuttosto la distribuzione nel tessuto urbano di singoli edifici riservati ai meno abbienti in modo da favorirne l’integrazione sociale oltre a quella architettonica e urbanistica.

(Risposta) – questo era il programma dei progettisti che hanno generato lo ZEN, nell’interesse della speculazione, ma soprattutto è stata una scelta teorizzata – in maniera criminale – da chi, stando dietro delle cattedre universitarie, o dirigendo delle riviste di architettura, o sproloquiando ovunque gliene venisse data la possibilità, ha teorizzato perfino che questa scelta avesse un obiettivo filantropico! A chiarimento di questa affermazione, per non sembrare ideologico, citerò una frase tratta dal libro “Tra le Modernità dell’Architettura” di A. Sciascia, libro scritto per difendere lo ZEN; la frase è comunque di Giancarlo De Carlo: “il loro ultimo fine (degli architetti n.d.r.) era di materializzare l’idea che la città storica, espressione delle classi sociali che avevano dominato e oppresso la società umana, doveva essere abbandonata ai suoi fondatori mentre alle classi sociali popolari in ascensione sarebbero stati destinati i nuovi quartieri costruiti in periferia che, aggregandosi, avrebbero finito col generare la nuova Gerusalemme: la città della società senza classi, libera, giusta e fraterna” … e infatti Gregotti “fa l’architetto, non il proletario”.

Cordialmente

Ettore Maria Mazzola

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