sabato 1 gennaio 2011

Appello ai Siciliani - di Don L. Sturzo


Luigi Sturzo
APPELLO AI SICILIANI 


* In “ Il Giornale d'Italia “, 24 marzo 1959, poi in Banco Di Sicilia, Notiziario economico finanziario siciliano, 1959, pp. 35-37. 


Non ho titolo specifico per parlare ai siciliani, tranne i miei 87 ami compiuti e la mia attività nei più svariati campi della religione, della cultura, della politica e dell'amministrazione.

Non pretendo essere ascoltato, né seguito; ho provato tutto nella mia vita: l'esaltazione e il dispregio; la fiducia e l'oblio; anche oggi, che, a parte il contributo che posso dare al lavoro legislativo in Senato, credo di servire in modo speciale il paese nel campo giornalistico e culturale, non pretendo di trovare un seguito che sorpassi i consensi del lettore assiduo e forse già convinto per conto suo di quanto io scrivo.




Pure in un momento assai tormentato per i miei conterranei, reputo doveroso non mancare all'appello, se non altro come rinnovata testimonianza di solidarietà e di affetto a quell'Isola che ci rende, o dovrebbe renderci, uniti, non nell'isolamento geografico, né in quello politico e culturale, ma nelle speranze di bene, nelle affinità di lavoro, nel progresso morale e materiale, nel desiderio, anche se ambizioso, di portare la Sicilia al più alto livello fra le regioni italiane e contribuire ad affermarla, quale dovrebbe essere: Perla del Mediterraneo.
Appartiene al campo del realizzabile simile finalità? Ricordo che dopo il discorso sul Mezzogiorno, letto a Napoli il 18 gennaio 1923, Giustino Fortunato, che giustamente faceva autorità io materia, ebbe a farmi arrivare le sue riserve sull'ottimismo che lo ispirava; ma a trentasei anni di distanza, credo possa dirsi che il mio ottimismo non sia stato infondato e il suo pessimismo poteva essere eccessivo. Il Mezzogiorno può risorgere; il Mezzogiorno sta risorgendo, come può risorgere e sta risorgendo la Sicilia e la nostra consorella, la Sardegna; questa la risposta dei fatti, pur in mezzo ad errori, incomprensioni, esagerazioni.

Ci vogliono: uomini, tempo, organizzazione, tecnicità, mezzi adeguati, perseveranza. Gli uomini non mancano; purtroppo non pochi fra noi mancano di preparazione, sono improvvisatori, diffidenti, presuntuosi, discontinui. Perché i meridionali fuori delle loro regioni, siciliani compresi, riescono a prendere posizioni importanti, divenendo centro di iniziative notevoli, superando forti competitori, affermandosi pur in mezzo a gravi difficoltà? Vexatio dat intellectum: messi alle strette, obbligati al rischio, sanno fare molto meglio fuori del loro ambiente, nel quale il provincialismo la limitatezza dei mezzi, la sfiducia reciproca, la critica dei fannulloni, l'oppressione dei mafiosi, l'intrigo dei profittatori rendono difficili le iniziative e contestabili i piani audaci e generosi. Forse mancano iniziative valide in Sicilia e nel Mezzogiorno? no; siamo denigratori di noi stessi; svalutiamo il bene che invidiamo; ignoriamo quello che sanno fare gli altri, perché riesce rimprovero alla nostra incapacità di volere.

* * *

Parliamo di politica; fin dall'occupazione napoleonica del Regno di Napoli, fu alla Sicilia fatta promessa di ridarle autonomia con la restaurazione del suo parlamento. Ma tanto i Borboni quanto gli Inglesi a guerre finite, dentro e fuori il Congresso di Vienna mancarono alle loro promesse; vecchia storia. Nel gennaio I848 a Palermo si levò la prima voce europea della libertà e della indipendenza; risorse il parlamento siciliano; si lottò, si perdette come perdettero tutti, meno il Piemonte. Il parlamento siciliano lasciò una storia e una speranza, Oggi siamo alla vigilia del primo secolo dallo sbarco di Garibaldi a Marsala; anche allora non mancarono promesse di autonomia alla Sicilia, promesse che portò via il vento. Le speranze, sempre vive nel cuore dei siciliani,furono discretamente realizzate nel maggio 1946 con il decreto-, legge di autonomia trasformato nel 1948 (un secolo di attesa) in legge costituzionale. Ebbene da allora in poi l'opinione pubblica italiana guarda alla Sicilia come a una regione estranea, da tenersi sotto osservazione; si cerca di sottrarle diritti riconosciuti, contestandone istituti, limitandone poteri, diminuendo contributi, vessandone l'organizzazione con interventi tali da minorarne perfino personalità, libertà, possibilità di sviluppo. In questo stato d'animo incosciente e voluto allo stesso tempo, politico ed istintivo, si sono insinuate preoccupazioni di un separatismo inesistente e irrazionale, perché la Sicilia non sarebbe mai self-sufficienti; direi quasi d'invidia per istituti più liberi per un'autonomia più accentuata, che non siano stati elargiti ad un altra regione. C'è il vecchio accentramento e la vecchia concezione statalista e burocratica del Piemonte e una specie di gelosia mai estinta per un eccessivo sviluppo meridionale. C'è dell'irrazionale e del formalistico; c'è il pregiudizio unitario, il senso di Potere anche in regime democratico.
Dall'altro lato, i siciliani chiamati a costituire e governare la Regione, presero fin dai primi giorni l'aria di volere ricopiare il Parlamento e il Governo nazionale; si attribuirono compensi pari a quelli dei deputati e dei senatori di Roma; mostrarono una larghezza pomposa e allo stesso tempo vennero meno alla dovuta regolarità dell'amministrazione, alla fermezza della disciplina, alla rigida responsabilità legislativa e attiva. Errori questi della prima attuazione del nuovo istituto (come quelli che son capitati alla Repubblica Italiana dal 1946 in poi); pur avendo approvato (Stato e Regioni) leggi utilissime, adottato criteri savi e attuato equilibrati interventi. Ma sopravvenne la crescente e opprimente partitocrazia che dal centro alla periferia ha infettato la nazione, compresi gli enti locali e le nascenti regioni; la Sicilia ne fu sopraffatta, anche per certe tare ataviche che persistono nelle nostre vene. Chi legge, infatti, la storia siciliana nelle sue fasi medievali e moderne, trova la stessa piaga delle divisioni dei siciliani di fronte al potere esterno, non importa se papale o valoisiano, se aragonese o asburgese, se borbonico o savoiardo. Anche oggi l'attuale Giunta regionale che si crede simbolo di sicilianità subisce l'indirizzo delle Botteghe Oscure, come quella precedente subiva l'influsso di Piazza del Gesù. Cuore siciliano di indipendenza e di resistenza, dove ti trovi oggi?

* * *

La politica è fatta di economia e viceversa, la Sicilia ha in sé non solo possibilità politiche e morali per superare la crisi; ma ha tale potenziale umano e produttivistico da vincere, volendo, la disoccupazione, sottoccupazione e la insufficienza dei redditi attuali. La politica economica della Sicilia va riveduta da capo a fondo.
Punto di partenza il sistema forestale. Diceva un tecnico americano della FAO, venuto dieci anni fa a visitare la Sicilia, che il mare che la circonda in mezzo secolo ha assorbito le terre fertilizzate di tutto il nostro territorio. La prima e capitale cura dovrebbe essere quella dei rimboschimenti delle zone montane e calancose delle zone non altrimenti fertilizzabili. I progressi fatti nel decennio, pur con buona volontà e mezzi mai prima avuti, sono stati assai limitati per mancanza di tempestività, di cura amministrativa, di serietà tecnica.

Rilevava il prof. Giuseppe Medici (lo diceva da professore e non da ministro) che con cinquecento laghetti collinari si potrebbe ottenere una maggiore umidità atmosferica nelle campagne siciliane. Fin oggi appena una cinquantina di laghetti sono stati sia costruiti che progettati. II tempo passa a nostro danno.

Leggi non mancano in Sicilia; direi ce ne sono troppe e se ne fanno co ritmo accelerato (come a Roma) specie per favorire categorie impiegatizie (come a Roma) o per la creazione di enti inutili, parassitari, costosi (come a Roma); ma le vere sistemazioni idrauliche e forestali, a parte le poche e non tutte fortunate della Cassa per il Mezzogiorno, sono più o meno abbandonate alla loro sorte (come a Roma) e nelle mani di una cattiva organizzazione di corpo privilegiato: il forestale (come a Roma). Non valeva la pena istituire la Regione per fare un copione della inabilità amministrativa dello Stato italiano in tale materia; e fosse la sola!

Agricoltura: dopo avere dato uno scossone con la Riforma Agraria, che la Regione fece metà di sua impronta e metà ad imitazione della legge “ Stralcio” , per maggiore danno consentì un esagerato spezzettamento di quote per i concessionari, così da non corrispondere alla minima unità poderale né soddisfare ai bisogni di una famiglia colonica. A questi errori di impostazione seguirono quelli di esecuzione, con spese inutili mentre si trascuravano e necessarie; con scelte di zone impervie o malcoltivabili. Invece di quelle più adatte allo scopo, e così di seguito, fu adottata in pieno la teoria statale (contraria a quella economica) del massimo sforzo e del minimo risultato.
C'era un buon provvedimento nella legge regionale: quello di sollecitare favorire e imporre l'obbligo dei miglioramenti agrari nelle zone rimaste ai proprietari; i nove anni trascorsi nella inanimazione, nonostante i bei propositi e perfino i piani di lavoro, non possono dirsi danno da poco; se ne vedono gli effetti oggi che la disoccupazione agricola è notevolmente aumentata-
Orientamento produttivo: a parte la coltivazione del grano duro, la cui campagna è valsa a richiamare l'attenzione isolana sopra uno dei più interessanti problemi della propria produzione (nei terreni adatti e non dappertutto), si è lasciato senza sufficiente assistenza l'allevamento degli animali da latte; manca un piano zootecnico e produttivo efficiente, base necessaria all'agricoltura siciliana; non si è curata come doveva essere la produzione del cotone; si è abbandonata l'idea della coltivazione dei semi oleosi; non si è dato l'impulso all'intensificazione dei foraggi verdi per tutto l'anno e così di seguito.
Mi dicono: gli agricoltori non ne hanno voglia, non hanno mezzi, non hanno speranze; sono sfiduciati, perché oberati di tasse, colpiti dalla pressione previdenziale, resi incerti dalle agitazioni sindacali. Tutto ciò in parte è vero, in parte esagerato; ma la Sicilia aveva la sua Regione; invece di mandarvi quasi tutta gente incompetente, poteva fare migliori scelte per i Propri deputati.
Quale serio contributo han dato agricoltori e tecnici in Sicilia alla ripresa agraria? assai modesto, nonostante i bei nomi di professori e di tecnici che abbiamo in loco
Conclusione per me evidente: le possibilità agrario-forestali siciliane sono molte, di lunga lena, di preciso orientamento, di sicuro risultato. Bisogna riunire insieme tecnica, politica e lavoro; destare fiducia, cooperare sul serio, senza venir meno (ecco il punto difficile) né per disappunti politici, né per errori pratici, né per dilazione nel tempo dei vantaggi sperati.

* * *

L'industralizzazione siciliana va avanti, lentamente, superando difficoltà e altre affrontandone; ma va avanti. Non accenno qui agli episodi dell'ENI. della Sicindustria. della Finanziaria, e altre piccole e grandi noie locali,
sono elementi di una economia nascete che si afferma. La Sicilia al centro del Mediterraneo non può non essere tutta industrializzata: tempo, pazienza fiducia nell'iniziativa privata. Le statizzazioni le regionalizzazioni sono i nemici della produttività e della stessa classe lavoratrice, bisogna avere il coraggio di affermare questa verità e difenderla nel campo pratico. La Regione dovrebbe limitarsi a dare esenzioni fiscali o concorsi integrativi; non pretendere di fare il doppione dell'infausto ministero delle partecipazioni che è uno dei bubboni politico-economici dello statalismo imperante.

Sbocchi commerciali: la competenza principale è del ministero del commercio con l'estero; la Regione coadiuvi, aiuti, consolidi le conquiste: vini tipo. cotone tipo, agrumi tipo; tipizzare, specializzare con serietà tale da meritare la piena fiducia dei Paesi importatori.

Così arriviamo al punto principale: formazione di tecnici, di studiosi, di specializzati; costino quel che costino, la Regione invece di tenere due o tre mila impiegati più o meno senza titolo nei vari dicasteri ed enti, che ha il piacere di creare a getto continuo, ne tenga solo mille; ma contribuisca ad avere mille tecnici, capi azienda specializzati, professori eminenti, esperti di prim'ordine. Solo così la Regione vincerebbe la battaglia per oggi e per l'avvenire; sarebbe così benedetta l'autonomia da noi vecchi e dai giovani; i quali ultimi invece di chiedere un posticino nelle banche o fra le guardie carcerarie, sarebbero i ricercati delle imprese industriali agricole e commerciali nazionali ed estere.

Scuole serie, scuole importanti, scuole numerose, scuole che insegnano, anche senza diplomi al posto di scuole che danno diplomi e certificati fasulli a ragazzi senza cultura e a ragazze senza cervello.

E' vero: sono un ottimista impenitente, anche di fronte ad una oscura situazione, alla vigilia di una battaglia elettorale tormentata, con l'incubo del sociaI-comunismo che ci opprime. Ma voglio andare all'altro mondo, quando Dio vorrà, col mio ottimismo.

Che potrei dire di più? E' forse mio compito fare appello a colleghi sacerdoti e a parroci zelanti per la educazione cristiana delle famiglie? Ma senza questa, cade tutto, perché “ In principio erat Verbum et Verbum era apud Deum et Deus erat Verbum “

Auguri fraterni a tutti; 

Nessun commento:

Posta un commento