lunedì 10 ottobre 2011

Coscienza e politica Cap. IV - DELLA VERIDICITA' di Don Luigi Sturzo

Perché il convincimento di chi vuole agire passi negli altri, occorre che egli sia veritiero.
La menzogna, cioè la difformità della parola dal pensiero, e, nel caso in esame, dal pensiero diretto all'azione, priva di efficacia lo stesso agente, rende diffidenti i collaboratori se ingannati, li rende conniventi se partecipi alla menzogna.

Vi saranno altri motivi per legarsi all'uomo che mentisce: timore, paura, interesse, capacità, fascino: ma dal punto di vista umano viene a mancare il legame più valido: la veridicità e sincerità.
C'è differenza fra chi non dice la verità perché non la conosce o non la dice perché vuole occultarla, e chi invece tende per qualsiasi motivo ad ingannare. Nel primo caso egli non sarà un menzognero; nel secondo può essere moralmente menzognero per volere essere prudente, abbia o no motivi legittimi a tenere occulta la verità; nel terzo caso si tratterà di vera menzogna, più o meno grave, ma sempre riprovevole.
In materia di menzogne, legate o no a veri inganni, si suole essere con gli uomini politici o troppo larghi ammettendone l'uso normale, ovvero rigorosi escludendola in ogni caso. Questo problema può essere connesso con l'altro, assai più discusso, del fine che giustifica i mezzi.
E’ evidente che anche i teorici della distinzione tra morale e politica, non arrivano ad accettare questa seconda tesi concepita quasi come regola politica, il che sovvertirebbe quel minimo di morale sociale (quella consacrata dai codici civili e penali di ogni stato) assolutamente necessaria a mantenere l'ordine e il diritto.
La menzogna per qualsiasi scopo usata toglie base ad una sana 'convivenza nella famiglia, nella scuola, negli affari, nelle relazioni umane le più varie. Lo stesso è in politica. La menzogna interrompe il dialogo umano, mentre la vita dell'uomo non è altro che un dialogo continuato, anche se fra molti insieme.
Chiunque sia sorpreso a mentire mostra di essersi distaccato dalla comunità, divenendo altrui il sospetto; per rivivere la vita sociale deve provare di non dire menzogne anzi di non dirne più ; perché se vi ricade, toglie qualsiasi credito alla resipiscenza.
Non sembra vero che la menzogna e l'inganno siano nell'uso corrente, e che gli uomini non abbiano altro da fare che ingannarsi a vicenda. È così; coloro che cadono nelle reti dell'inganno se ne accorgono con ritardo; molti di costoro credevano che sarebbero stati gli altri a 'cadere nelle reti che essi stessi avevano tese.
Tale uso, pur essendo assai diffuso, nei rapporti privati o di sociali liberi è sempre biasimato come mancanza di rispetto alla morale; nei rapporti pubblici, specialmente politici più che scusato e tollerato, arriva ad essere approvato dai fautori mentre viene biasimato dagli avversari (e viceversa) secondo le finalità alle quali i mezzi di menzogna e di inganno sono diretti.
Il che porta ad apprezzamenti assai variabili nella pubblica opinione con riflessi equivoci nelle valutazioni di coscienza.
Cerchiamo di chiarire il fenomeno assai sospetto e, sotto certi punti di vista, pernicioso: quello di dare alla menzogna e all'inganno il lascia passare dell'opinione pubblica attenuando così le resistenze della coscienza. Anzitutto è da notare che in democrazia certi tipi di menzogne facilmente smontabili dal dibattito parlamentare, giornalistico, e comiziale, non possono aver corso; chi ne usa ci perde. È questo un lato buono. Però c'è il lato manchevole; l'uso delle mezze verità, l'alterazione dei fatti, la' confusione dei dati, l'abuso delle statistiche, la ripetizione artificiosa per far credere un fatto nuovo mentre è lo stesso ripetuto sotto diversi aspetti, la propaganda amplificatrice, la denigrazione dell'avversario, tutti mezzi deplorevoli e usati comunemente senza alcuna attenuazione e differenza di gruppi e partiti.
Alla propaganda politica amplificatrice (a parte che secondo me è controproducente) applicherei il criterio di certi moralisti, che non reputano menzogna quella dei venditori magnificanti la propria merce, perché il pubblico sa bene che quelle affermazioni sono per invitare a comprare, e cadono di fronte alla contestazione del cliente normalmente sempre poco disposto a credervi. Ma se dalla magnificazione generica e fatta per sistema, si passa ai termini di una contrattazione concreta , allora le affermazioni laudatorie trasformate in menzogne reali e particolari per indurre in errore, sono e restano menzogne.
Alla stessa maniera, l'abilità parlamentare atta a evitare ostacoli e a indurre gli avversari a cambiare atteggiamenti non è per nulla vietata, anche se nell'uso delle parole discrete possa nascondersi qualche imprecisione voluta che può arrivare al margine della menzogna, dovendo l'avversano dalla sua stessa posizione parlamentare trarre motivo di sospicione. Ben altra è la osservanza del regolamento; questo è una specie di patto comune per procedere nei lavori parlamentari: è la regola del gioco pattuita e riconosciuta. Nessuno può violarla senza colpa; e tanto più grave è la colpa quanto più grave è l'abuso. Su questo punto mi pare che le idee non siano chiare, non mancando coloro che ritengono il regolamento una semplice formalità, mentre è un reciproco vincolo.
Alcuni vorrebbero in politica seguire gli usi consentiti in guerra, dato che la politica di partito potrebbe dirsi guerra permanente per il potere. Tale impostazione è semplicemente aberrante; le contese e le gare civili hanno per base la normale convivenza umana nella quale è esclusa a priori qualsiasi rottura bellica dei vincoli di comunità, come avviene fra le nazioni in guerra, e all'interno di una stessa nazione nel caso di guerra civile. Solo la rottura dei vincoli di comunità rende lecito in guerra (si intende, quando sia lecita una guerra), quel che non è lecito in pace: la menzogna, l'inganno, l'agguato e simili. Ma poiché la rottura dei vincoli della comunità non è mai totale, tanto che anche in guerra esistono e dovrebbero essere rispettati i patti internazionali e le leggi tradizionali (i termini di una tregua, lo scambio dei prigionieri, il divieto di armi e di mezzi non ammessi e quindi illegittimi e così di seguito), l'obbligo della osservanza di essi dalle due parti è anche vincolo morale di coscienza, oltre che di civiltà.
Esclusa quindi ogni assimilabilità della lotta politica alla guerra, il problema della veracità in politica rimane integro.
Per quanto si voglia essere larghi e tolleranti verso coloro che parteggiano e lottano, ammettendo quel limite di reciproca comprensione e tolleranza che toglierebbe alla menzogna obiettiva e al tentativo di inganno l'abuso della buona fede e della impreparazione psicologica e, quindi, la rottura della comunione interindividuale; si deve concludere che la ripugnanza della coscienza permane più o meno forte all'uso di mezzi intrinsecamente immorali per fini creduti di grande utilità, quale la vittoria del proprio partito e la sconfitta dell'avversario. Si forma facilmente una categorizzazione istintiva fra chi di queste cose non si intende o non se ne occupa e chi, abituato al mestiere, prova viva soddisfazione (la vanità dell'esperto in materia) quando vi riesce, e lo dice a questo o a quello all'orecchio, che non lo sappia il capo: il quale molte volte lo saprà ma fingerà di non aver visto niente.
E che dire se quel che è ritenuto contrario alla valutazione etica della coscienza sia richiesto a titolo di vantaggio pubblico? È questo un altro lato del problema della moralità dei mezzi nella politica statale.
Se è vero che Bismarck diceva di usare in diplomazia la verità per far credere il contrario, è più esatto affermare che la verità in diplomazia è un mezzo che presto o tardi produce i suoi frutti inestimabili di comprensione, fiducia, simpatia, solidarietà.
Essere veritiero non impone svelare i segreti o fare affermazioni inopportune. Il silenzio è d'oro specialmente in politica: oggi si parla troppo, e quindi si usano verità, mezze verità, verità apparenti, infingimenti e menzogne.
L'arte politica educa a dire quel che è necessario; tacere quel che è doveroso non palesare; sfuggire la menzogna e trovare il modo di evitare le affermazioni che non sarebbero conducenti al fine. Senza una lunga educazione non vi si arriva facilmente.

È più facile dal no arrivare al si, che dal sì retrocedere al no. Saggio consiglio è non impegnarsi senza avere riflettuto a tempo ed avere formata la convinzione di poter mantenere l'impegno preso. Il no è più costoso del sì; ma spesso il no è più utile del sì.
Data la facilità delle richieste onerose per lo stato e di dubbia moralità per il richiedente, il no è doveroso e il sì è dannoso. L'uomo politico non deve aver timore di dire il no più spesso che il sì. A parte il senso del dovere, il no detto con garbo ma con fortezza aumenta credito e stima.
I1 politico incerto ed esitante, se non ha per rivalsa un cumulo di buone qualità, onestà, buon senso, capacità di sintesi, autorità morale, benemerenze sociali, sarebbe un uomo fallito.
Purtroppo, anche le buone qualità sarebbero in parte svalutate per l'una che presto diverrebbe il tallone di Achille.

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